RICONOSCERE UN BUON ACETO BALSAMICO:
PROFILO E CARATTERISTICHE
L'aceto balsamico "non tradizionale" viene prodotto nelle provincie di Modena e Reggio Emilia
(i cosiddetti antichi dominii estensi), pur essendo definito dall'IGP unicamente come di Modena.
Viene prodotto generalmente unendo al mosto cotto (non fermentato e acetificato) aceti di vino, ed eventualmente caramello ed addensanti per ottenere una densità ed un sapore similari a quelli del prodotto tradizionale. Generalmente il sapore è caratterizzato da un'acidità vinosa, ossia più aspra e marcata da un punto di vista sensoriale.
È richiesto un invecchiamento minimo di due mesi, non necessariamente in contenitori di legno, che salgono a tre anni per la dicitura "invecchiato". Visto la possibilità di industrializzazione del processo produttivo, un'azienda di medie dimensioni può arrivare a produrne diverse centinaia di litri al giorno.
Più recente è l'introduzione sul mercato di varie tipologie e denominazioni di "condimento balsamico", definito anche "salsa balsamica" o "salsa di mosto cotto". I condimenti sono prodotti che, pur richiamandosi all'aceto balsamico, non ricadono all'interno dei disciplinari di produzione dei marchi DOP/IGP.
Questa è la famiglia con la maggior variabilità di qualità, ricette ed anche prezzi, in ragione della tecnica produttiva e del marketing correlato. Generalmente i condimenti balsamici possono essere:
• fatti ed invecchiati in modo tradizionale nelle province di Modena e Reggio Emilia, ma al di fuori della supervisione dei consorzi di tutela e dalle procedure di certificazione; quindi dei balsamici tradizionali nella sostanza ma non nella forma, e che generalmente vengono venduti solo sulla base di una forte conoscenza e fiducia da parte del consumatore nella qualità adottata dal produttore;
• prodotti secondo i disciplinari della DOP e dell'IGP, ma non certificabili in quanto prodotti al di fuori delle province di Modena e Reggio Emilia (tuttavia se una parte della lavorazione avviene in esse si ricade nell'IGP) o perché venduti prima dei 12 anni minimi previsti dal disciplinare (e anche in questo caso si tratta di prodotti che se invecchiati almeno 60 giorni possono godere dell'IGP);
• prodotti partendo dal prodotto certificato IGP, ma variamente arricchito e tagliato con prodotto DOP
• aceti di vino arricchiti di mosti cotti ed altri ingredienti per simulare i prodotti balsamici, ma fuori dai criteri previsti dal disciplinare IGP.
Per i condimenti non vi è alcuno standard ufficiale, né marchio di riconoscimento, né regolamentazione del nome, per cui la qualità del prodotto non può essere desunta facilmente dalla sola etichetta. Per tale motivo le caratteristiche qualitative intrinseche possono essere molto differenti fra loro, motivo per cui ricadono sotto questo gruppo prodotti dozzinali come condimenti di elevata qualità.
La Produzione per l aceto balsamico di Modena D.O.P
La procedura necessaria per ottenere l‘Aceto Balsamico Tradizionale di Modena passa attraverso tre fasi fondamentali:
- LA RACCOLTA DELL’UVA
- LA PIGIATURA E LA COTTURA DEL MOSTO
- L’INVECCHIAMENTO
LA RACCOLTA DELL'UVA
La materia prima per ottenere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuta dalle “uve prodotte da vitigni tradizionalmente coltivati nella provincia di Modena” ed in particolare da Lambruschi e Trebbiano.
LA PIGIATURA E LA COTTURA DEL MOSTO
La materia prima per ottenere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuta dalle “uve prodotte da vitigni tradizionalmente coltivati nella provincia di Modena” ed in particolare da Lambruschi e Trebbiano.
L'INVECCHIAMENTO
L’invecchiamento avviene in serie di botticelle (batterie), di legni diversi e di volume decrescente, collocate nei sottotetti delle abitazioni.
Ogni anno, con la particolare tecnica dei travasi, il barile più piccolo della batteria fornisce qualche litro di prodotto mentre la diminuzione dovuta alla concentrazioneviene compensata con l’aggiunta del mosto cotto nel barile più capiente. Solo dopo un adeguato periodo di invecchiamento il prodotto raggiunge quel sorprendente equilibrio di aromi e sapori che gli consente di fregiarsi della Denominazione d’Origine Protetta “ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA”.
Come riconoscere un Buon Aceto Balsamico
Non tutti gli Aceti Balsamici sono di buona qualità.
Ecco di seguito una tabella riassuntiva che elenca le principali caratteristiche del buon aceto balsamico, cliccare sul file per scaricarlo.
PROFILI ACETO BALSAMICO |
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E 150- A-B-C-D: Cosa c'è dietro una
Sigla
Il caramello, prodotto ben noto in cucina e soprattutto in pasticceria, è un prodotto alimentare dagli svariati usi, ma osservandolo da un pinto di vista diverso ed interessante lo riscontriamo anche come conservante e colorante.
Come conservante e colorante; c’è da dire che è poco utilizzato a scopo preservativo (dove lo sciroppo la fa da padrone), mentre molto utilizzato per dare la colorazione agli alimenti e per questo rientra tra gli ingredienti detti additivi, di maggior utilizzo nel settore alimentare (sigla E150). Conferisce, ad esempio, la tipica colorazione delle bevande tipo cola.
L’uso da colorante
E150 a Caramello Semplice o Grezzo _____________
Il caramello semplice o grezzo, detto in Sigla E 150 a , è un colorante di colore bruno ottenuto dallo zucchero liquido (saccarosio o glucosio) con l'aggiunta di carbonato di sodio.
Può essere contenuto in prodotti da forno, biscotti, pane, essenze di caffè, budini, liquori, bibite, gelati, ghiaccioli, conserve.
Attualmente non si conoscono effetti collaterali negativi circa l'impiego di caramello semplice come additivo alimentare.
E150 b Caramello Solfito Caustico ________________
Il caramello solfito caustico è un colorante di colore bruno, di origine sintetica.
Può essere contenuto in bevande alcoliche, confetture, bibite, gelati, ghiaccioli, liquori, pasticceria in genere, biscotti e conserve.
Attualmente non si conoscono effetti collaterali negativi.
DOSE ADI: 200 mg per Kg di peso corporeo.
E150 c CARAMELLO AMMONIACALE___________
Il caramello Ammoniacale è un colorante di colore bruno, di origine sintetica.
È contenuto in zuppe, salse, gelati, ghiaccioli, bevande a base di vino, liquori, pasticceria in genere, biscotti e conserve.
Il caramello ammoniacale, se consumato entro le dosi raccomandate, è considerato un colorante non nocivo.
DOSE ADI: 200 mg per Kg di peso corporeo.
E150d CARAMELLO SOLFITO AMMONIACALE_______
Il caramello solfito ammoniacale è un colorante di colore bruno, di origine sintetica.
Può essere contenuto in zuppe, salse, gelati, ghiaccioli, bevande a base di vino, liquori, pasticceria in genere, biscotti e conserve.
Il caramello solfito ammoniacale, se consumato entro le dosi raccomandate, è considerato un colorante non nocivo.
DOSE ADI: 200 mg per Kg di peso corporeo.
L’imputazione della Pericolosità
Gli E 150 sotto accusa sono sostanzialmente quelli sintetici per 2 motivi:
1. Sono presenti in molti prodotti
2. Sono prevalentemente sintetici
Presenti in molte bibite, soprattutto in quelle che cadono sotto il nome di Cole al Chinotto, ma anche nelle caramelle, in alcuni aceti balsamici e nella salsa di soia. Insomma in moltissimi alimenti che hanno bisogno di un'iniezione di colore marrone scuro.
Si parla del colorante Caramello Solfito-Ammoniacale, con sigla E150 d, che secondo uno studio recente reso pubblico sul Lancet Oncology, è un possibile cancerogeno.
La ragione è un sottoprodotto del caramello E150 d, il 4-MEI (4metilimidazolo), residuo non voluto del processo di produzione dei caramelli a base di ammoniaca. La ricerca è stata condotta dallo Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Oms, che ha classificato il 4-MEI tra le 249 sostanze potenzialmente cancerogene per l'uomo, cioè nel cosiddetto gruppo 2B.
Un po’ di più sul MEI
Il 4-metilimidazolo (4-MEI) è un composto organico eterociclico. Deriva dall'imidazolo per
Il 4-metilimidazolo può formarsi nella doratura di alcuni alimenti mediante la reazione di Maillard tra carboidrati e composti contenenti gruppi amminici. In particolare, si trova in alimenti arrostiti o torrefatti, e in prodotti colorati con caramello prodotto tramite un procedimento all'ammoniaca. Può anche derivare da processi fermentativi.
Dallo studio si evince un ulteriore dato importante e cioè che:
4-Metilimidazolo |
Le indagini sono state svolte su prodotti in commercio e utilizzati dall’Efsa ed emerge che tutta una serie di prodotti largamente consumati dai bambini, come bibite gassate, gelati, prodotti da forno, dessert, possono contenere 5 g di questo colorante per kg di prodotto.
Nelle caramelle si raggiungono concentrazioni di 300 g per kg di prodotto. Ci vuol poco, dunque, a superare la dose giornaliera ammissibile e questo vale a maggior ragione per i più piccoli che hanno un peso corporeo inferiore: "Così un bambino di 3 anni che pesa 15 kg non dovrebbe ingerire più di 4.5 g di colorante caramello al giorno. Per il caramello E150d questa dose si raggiunge ad esempio con il consumo quotidiano di una lattina di bibita (1.5 g di caramello in 330 ml) e 10 g di caramelle (3 g di caramello). E' chiaro che un eventuale rischio per la salute è legato a un uso regolare e non saltuario di alimenti che contengono queste sostanze".
Gli effetti indesiderati semplici
Oltre al potere canceroso degli E 150 sintetici in particolar modo gli E 150 d e E150 c, si sono saggiate le problematiche legate ad un consumo continuo e grande di quei prodotti che presentano tali coloranti.
Dai test si è evinto che a forti concentrazioni possono scatenarsi effetti nocivi come casi di ipersensibilità, allergia ed effetti sull’equilibrio ormonale, crampi, inappetenza, problemi gastrointestinali, leucopenia o riduzione dei globuli bianchi, leucemia fino a casi più gravi tumori dell'apparato respiratorio (gli studi sono stati condotti su topi e ratti).
Mentre non sono emersi effetti nocivi con l'E150a (caramello semplice o puro) e l'E150 b (caramello solfito-caustico).
Sì può concludere che: i coloranti naturali estratti attraverso solventi non nocivi devono avere la precedenza nelle filiere produttive soprattutto quando i prodotti sono destinati ad una popolazione sensibile quali bambini, anziani, persone biochimicamente ipersensibili.
Inoltre bisognerebbe evitare di utilizzare sostanze non naturali e quindi sintetiche che se da una parte portano un beneficio tecnologico, dall’altra portano uno svantaggio salutistico.
Il consumatore legga l’etichetta ed eviti o moderi il consumo di prodotti con coloranti sintetici quali E150 c, E150d e i sintetici in genere.
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La percezione sensoriale
L’uomo conosce ed entra in rapporto con tutto ciò che
lo circonda attraverso gli organi di senso che gli permettono di percepire la
realtà.
Nella vita quotidiana la Qualità della percezione
sensoriale diventa fondamentale per lo svolgimento di molte azioni, uno tra le
tante è quella legata alla Scelta e al saper scegliere in campo di prodotti
alimentari.
Il corretto
apprendimento e la corretta evoluzione dell’imparare la tecnica, esalta con il
tempo queste prestazioni. Per questo è fondamentale allenare anche gli
analizzatori senso-percettivi, quegli organi cioè che ci permettono di
percepire ciò che avviene attorno a noi.
La percezione
sensoriale ha diverse forme. Quelle che sono maggiormente coinvolte nel
quotidiano è di origine esterocettiva, tramite i telerecettori (esorecettori) e
propriocettiva (endocettori).
In senso pratico imparare a sviluppare ed esercitare i
propri elementi sensoriali, aiuta il consumatore a poter adottare una scelta
migliore e più consapevole, evitando in questo modo, raggiri, frodi, truffe e
soprattutto danni a lungo e breve tempo sulla persona.
Agroalimenti e dintorni ha da sempre, ed è nato per
questo, il compito o mission di formare il consumatore verso una scelta sensata
e più giusta, senza utilizzare eliminazioni o mettendo in risalto certi aspetti
anziché altri ma valutando il complesso insieme e nel corso degli anni a
stretto contatto con migliaia di lettori abbiamo notato che sempre più persone
vorrebbero saper scegliere ma non hanno gli strumenti per farlo.
Dall’altro lato vi è l’analisi sensoriale aziendale
dove il team di lavoro specializzato, selezionato ed addestrato deve dare un
profilo specifico al prodotto in target. Per esempio i prodotti da forno
rappresentano uno dei cibi basilari dell’alimentazione, diffusi nella maggior
parte delle diete a livello mondiale, sono parte integrante dell’alimentazione
mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO come un modello di alimentazione sana ed
equilibrata.
La percezione sensoriale gioca qui un ruolo fondamentale nel determinare le preferenze dei consumatori; uno strumento fondamentale per andare in contro alle loro esigenze è rappresentato dall’analisi sensoriale la quale si avvale di tecniche scientifiche per valutare la qualità sensoriale dei prodotti, così come percepita dagli organi di senso, identificando fattori fondamentali sia per lo sviluppo di nuovi prodotti, che possano soddisfare i gusti e le aspettative dei consumatori, sia per la valorizzazione di prodotti tradizionali regionali.
Anche il consumatore, tuttavia, deve imparare a
scegliere il prodotto di buona qualità, vediamo dunque quali sono le basi
fondamentali per un’adeguata valutazione.
Per Stimolo si intende qualsiasi
attivatore chimico o fisico in grado di causare una risposta in un recettore,
ogni stimolo produce delle sensazioni all'uomo.
I cinque sensi
Visiva (vedi leggi della percezione visiva),
esterocettiva;
Tattile (barocettori della pianta del piede),
esterocettiva;
Acustica, esterocettiva;
Vestibolare (canali semicircolari),
propriocettiva;
Cinestesica (meccanocettori, quali
i fusi neuromuscolari, i corpuscoli del Pacini e gli organi del Golgi nei
tendini), propriocettiva.
La Vista è in grado di captare le reazioni luminose, è uno
dei cinque sensi;
precisamente, è quello mediante il quale è possibile percepire gli stimoli
luminosi e, quindi, la figura, il colore, le misure e la posizione
degli oggetti. Tale percezione avviene per mezzo degli occhi. Questi organi sono contenuti nelle orbite oculari, due cavità del cranio ai lati della radice del naso,
disposte simmetricamente rispetto alla linea mediana del
corpo.
In un individuo c’è da ricordare che esiste una soglia assoluta di
percezione detta SP che indica la quantità minima di energia necessaria per
suscitare una sensazione, mentre la soglia di riconoscimento SR è la quantità minima di energia
necessaria per suscitare una sensazione ben definita e riconosciuta.
Per determinare l'SP e l’SR bisogna determinare la purezza dello stimolo lo
stato fisiologico e il grado di concentrazione del soggetto.
Qui è dunque importante esercitarsi da consumatori, come accade per gli
assaggiatori esperti, cioè selezionare qui prodotti certificati come di buona
qualità dal ministero della salute, sui siti di certificazione riconosciuti e dalle
rispettive camere di commercio e esercitare il palato alla degustazione per poi
fare un paragone al momento dell’acquisto.
Il gusto
Ecco una breve carrellata delle più importanti sensazioni da gusto:
L’Umami è la sensazione stimolata dalla glutammato monosodico (ne approfondiremo
in seguito)
Il carattere di astringente è legato alla sensazione di secchezza,
talvolta denota un fattore positivo, da riscontrare.
Il senso di metallico è il pizzicore alla lingua stimolato da alcuni
dolcificanti
Tuttavia quando ci si abitua a percepire con estrema frequenza un prodotto
si cade nell’assuefazione cioè nell’adattamento,
L’adattamento determina la diminuzione della risposta sensoriale quando lo
stimolo è costante, questo fattore è un problema per il pannellista esperto.
La miscelazione, più gusti possono creare delle interazioni che possono
falsare o sfumare il senso e dare quindi delle false risposte.
Olfatto
I recettori sono posti in alto nell' epitelio della cavità nasale le
sostanze, aromatiche vengono assorbite dal naso per poi reagire con i
recettori.
La maggior parte delle molecole aromatiche sono solubili in acqua la soglia
di percezione data da loro coefficiente di solubilità e dalla loro volatilità.
Esistono 2 ruoli:
Olfatto esterno: l’odore dell'alimento che proviene dall’esterno
Olfatto retronasale: E’ il riconoscimento dei gusti durante la masticazione
Con Anosmia si intende la perdita completa dell'olfatto, per anosmia specifica si intende invece la perdita della percezione di soltanto alcuni composti.
Vista
È il risultato di una serie di fenomeni in rapida successione, si collega poi alla simulazione dei recettori della retina e messaggio al cervello e poi all’elaborazione al cervello dei dati immagine forma dimensioni colori tutti vengono metabolizzati dalla vista e dal cervello
Tatto
I recettori tattili si trovano sul su guance labbra palato lingua molto sensibili fino a 20-25 micron la possibilità di riconoscimento è dato anche dalla temperatura che con il freddo diminuisce.
Udito
La masticazione e la deglutizione
sono collegate all'orecchio e completano la percezione l'orecchio interno medio
ed esterno e orecchio interno ci sono dei recettori che percepiscono gli
stimoli.
Conosciute ora le componenti di base della percezione possiamo dire che da uno
studio svolto sui consumatori e la loro scelta i principali fattori che
determinano le scelte alimentari sono:
- Fattori biologici come stimolo della fame, appetito e gusto
- Fattori economici come costo, reddito e disponibilità
- Fattori fisici come accesso, istruzione, capacità (ad esempio, saper cucinare) e tempo
- Fattori sociali come cultura, famiglia, altre persone e modalità dei pasti
- Fattori psicologici come umore, stress e senso di colpa
- Atteggiamenti, convinzioni e conoscenze sugli alimenti
La complessità delle scelte alimentari si evince da questo elenco, che
peraltro non è esaustivo. I suddetti fattori dipendono anche dalla fase della
vita di una persona e la loro forza varierà da un individuo o un gruppo di
persone all'altro. Di conseguenza, non è detto che un tipo di intervento
finalizzato a modificare il comportamento alla base delle scelte alimentari sia
adatto a tutti i gruppi della popolazione. Al contrario, gli interventi vanno
personalizzati per i diversi gruppi, tenendo in considerazione i numerosi
fattori che influenzano le decisioni specifiche in fatto di scelte alimentari.
In generale, gli errori più comuni che comportano errori da parte dei
consumatori nella scelta di cibi sono:
1.
Le influenze sociali
2.
Le influenze culturali
3.
Il contesto sociale
4.
L’istruzione e la conoscenza
5.
I costi e le possibilità economiche
6.
Gli stimoli
7.
La modalità dei pasti
8.
Lo stress
9.
L’umore
10. I
disturbi alimentari(veri)
11. Atteggiamenti
e convinzioni
Ne valutiamo solo 3:
Stress
Lo stress è
una caratteristica comune della vita moderna e può modificare i comportamenti
che riguardano la salute, come l'attività fisica, il fumo o le scelte
alimentari.
L'influenza dello stress sulle scelte alimentari è complessa, soprattutto se si considerano i diversi tipi di stress a cui può essere soggetta una persona. L'effetto dello stress sul consumo alimentare dipende dall'individuo, dalla causa e dalle circostanze. In generale, quando le persone si sentono stressate, rispetto al solito alcune mangiano di più e altre di meno.
In ambito di comportamenti e scelte alimentari, i meccanismi suggeriti alla base dei cambiamenti determinati dallo stress includono differenze motivazionali (minore preoccupazione nei confronti del controllo del peso), cambiamenti psicologici (minore appetito a causa dei processi associati allo stress) e cambiamenti pratici che riguardano le opportunità in cui si consumano alimenti, la disponibilità del cibo e la preparazione dei pasti.
Gli studi suggeriscono anche che se lo stress da lavoro è prolungato o frequente, potrebbero verificarsi cambiamenti negativi sulla dieta, incrementando la possibilità di aumento di peso e, di conseguenza, di rischio cardiovascolare.
L'influenza dello stress sulle scelte alimentari è complessa, soprattutto se si considerano i diversi tipi di stress a cui può essere soggetta una persona. L'effetto dello stress sul consumo alimentare dipende dall'individuo, dalla causa e dalle circostanze. In generale, quando le persone si sentono stressate, rispetto al solito alcune mangiano di più e altre di meno.
In ambito di comportamenti e scelte alimentari, i meccanismi suggeriti alla base dei cambiamenti determinati dallo stress includono differenze motivazionali (minore preoccupazione nei confronti del controllo del peso), cambiamenti psicologici (minore appetito a causa dei processi associati allo stress) e cambiamenti pratici che riguardano le opportunità in cui si consumano alimenti, la disponibilità del cibo e la preparazione dei pasti.
Gli studi suggeriscono anche che se lo stress da lavoro è prolungato o frequente, potrebbero verificarsi cambiamenti negativi sulla dieta, incrementando la possibilità di aumento di peso e, di conseguenza, di rischio cardiovascolare.
Umore
Ippocrate è
stato il primo a suggerire il potere curativo del cibo, tuttavia è solo a
partire dal medioevo che lo si considera come uno strumento per modificare
temperamento e umore. Oggi si riconosce l'influenza del cibo sull'umore e il
fatto che quest'ultimo condizioni le nostre scelte alimentari.
È interessante notare che l'influenza del cibo sull'umore sembra essere in
parte correlata agli atteggiamenti nei confronti di particolari alimenti. Il
rapporto ambivalente con il cibo, ovvero il desiderio di gustarlo ma la
consapevolezza che comporta un aumento di peso, è un contrasto vissuto da
molti. Persone a dieta, individui che si impongono particolari restrizioni e
alcune donne segnalano di sentirsi in colpa perché ritengono di non mangiare
quello che dovrebbero. Inoltre, il tentativo di limitare l'assunzione di
particolari cibi può aumentare il desiderio nei loro confronti, portando a
impulsi irresistibili o "voglie". Questi impulsi sembrano essere più comuni tra le donne rispetto agli uomini e la loro intensità pare particolarmente influenzata dall'umore triste. L'incidenza delle voglie alimentari sembra essere più comune nella fase premestruale, un periodo in cui aumenta l'assunzione di cibo e parallelamente si modifica il metabolismo basale.
Di conseguenza, umore e stress possono influenzare il comportamento alla base delle scelte alimentari e forse anche le risposte a breve e lungo termine all'intervento sulla dieta alimentare.
Contesto sociale
Le influenze
sociali sul consumo di cibo riguardano l'impatto che una o più persone hanno
sul comportamento alimentare delle altre, sia direttamente (acquistare cibo),
sia indirettamente (imparare dal comportamento degli altri), a livello conscio
(trasferimento di convinzioni) o inconscio. Anche quando si mangia da soli, le
scelte alimentari sono influenzate da fattori sociali, poiché atteggiamenti e
abitudini si sviluppano tramite l'interazione con gli altri. Tuttavia,
quantificare le influenze sociali sull'assunzione di alimenti è difficile,
perché le influenze che le persone hanno sul comportamento alimentare degli
altri non sono limitate a un solo tipo e perché le persone non sono
necessariamente consapevoli delle influenze sociali esercitate sul loro
comportamento alimentare.
Il supporto sociale può avere un effetto benefico sulle scelte alimentare e su un cambiamento salutare della dieta. Il supporto sociale della famiglia e dei colleghi è stato positivamente associato agli aumenti nel consumo di frutta e verdura e alla fase preliminare del miglioramento delle abitudini alimentari, rispettivamente. Il supporto sociale può migliorare la promozione della salute favorendo un senso di appartenenza al gruppo e aiutando le persone a essere maggiormente competenti e ad avere più fiducia nei propri mezzi.
Il supporto sociale può avere un effetto benefico sulle scelte alimentare e su un cambiamento salutare della dieta. Il supporto sociale della famiglia e dei colleghi è stato positivamente associato agli aumenti nel consumo di frutta e verdura e alla fase preliminare del miglioramento delle abitudini alimentari, rispettivamente. Il supporto sociale può migliorare la promozione della salute favorendo un senso di appartenenza al gruppo e aiutando le persone a essere maggiormente competenti e ad avere più fiducia nei propri mezzi.
In
conclusione, è importante conoscere i propri standard e quelli oggettivi
certificati per saper scegliere un prodotto di qualità, Agroalimenti e Dintorni
darà nel corso del tempo tutte le informazioni su come saper scegliere sempre
al meglio.
Novel Food _____________________
Aspetti Introduttivi
Per novel food si intende quell’alimento o ingrediente nuovo. In questo caso il concetto di “Nuovo” è stato introdotto, per differenziare questi ultimi dai prodotti consumati in modo significativo e regolare prima del Regolamento CE 258 del 1997. Tali alimenti quindi non sono nuovi per tutti consumatori a livello mondiale, infatti tale diversificazione è stata operata allo scopo di fornire una maggiore protezione ai cittadini europei.
Considerando infatti la questione OGM si è ravvisata la necessità che i nuovi alimenti dovessero essere valutati sulla base della loro sicurezza prima di essere consumati al fine di evitare possibili effetti negativi sulla salute.
Il Novel Food immetterebbe quindi una maggiore attenzione sull’introduzione di nuovi cibi in uno specifico Paese.
Infatti cibi nuovi in un Paese potrebbero essere di consumo tradizionale in altri, pertanto la domanda inoltrata dal richiedente nel proprio Stato passerà da una commissione attraverso le commissioni degli Stati membri con tutte le informazioni utili a dimostrare la rispondenza ai criteri stabiliti nonché l'etichettatura del prodotto.
Se una valutazione scientifica basata su un’analisi appropriata dei dati esistenti dimostra che le caratteristiche del prodotto sono diverse rispetto a quelle di un alimento o ingrediente convenzionale. In questo caso l’etichettatura deve fare menzione di queste caratteristiche riportando:
• indicazioni della presenza di sostanze non presenti in un alimento o ingrediente equivalente esistente e che possono avere ripercussioni sulla salute;
• indicazioni della presenza di sostanze non presenti in un alimento o ingrediente equivalente esistente e che hanno ripercussioni di ordine etico;
• indicazioni della presenza di organismi geneticamente modificati.
In conclusione, soltanto gli alimenti che superano questa articolata prassi vengono immessi sul mercato.
Gli aggiornamenti al Parlamento Europeo
A tal fine il dibattito avvenuto il 16 Ottobre e con il conseguente voto il 27 ottobre 2015, al Parlamento Europeo si rinnoverà il testo che regolamenta l'introduzione e la vendita dei Novel food in Europa.
Il Regolamento non viene aggiornato dal 1997, in effetti un periodo lunghissimo se si pensa a come consumi, abitudini e tecnologia alimentari mutano velocemente, aiutati in primis dalla velocità dei trasporti e delle comunicazioni on line.
Seguendo gli aggiornamenti: qualsiasi cibo, ma anche tecnica di produzione o trattamento o tecnologia in campo alimentare, come per esempio la pastorizzazione ad alta pressione dei succhi di frutta o ingredienti nanomateriali ed eventuali miglioramenti tecnologici, che influiscano su proprietà nutrizionali e che non erano diffusi o conosciuti nel 1997 sarebbero da considerarsi Novel food e che dalla data di aggiornamento dell’incontro di questo Ottobre seguiranno un trattamento regolamentativo nuovo.
Anche integratori e flavonoidi, apparentemente innocui, sono sottoposti all'approvazione prima di essere diffusi in Europa
La Regolamentazione attuale è molto macchinosa e rallenta l'approvazione del Novel food. Il nuovo testo è un passo nuovo per le Aziende alimentari e ciò dovrebbe favorire l'innovazione in campo alimentare, aiutare anche le piccole Aziende e lo start up grazie ad una semplificazione di ciò che viene approvato, tutelare la sicurezza alimentare e aumentare la trasparenza per il consumatore.
L'Efsa (European Food Safety Authority) è composta da un panel scienziati e ricercatori indipendenti internazionali, e d'ora in poi comprenderà anche esperti in tossicologia. In particolare si occupa di valutare se è un alimento è rischioso o no per la salute, mentre la Commissione ne gestisce l'approvazione e l'eventuale rischio che questa approvazione comporta.
Da ciò ogni produttore può far dare al proprio prodotto l’approvazione che è gratuita. Se un prodotto non viene approvato però è perché gli esperti hanno trovato il suo consumo rischioso per la salute, quindi non è possibile ricorrere. Si può comunque richiedere un incontro in cui vengono approfondite le motivazioni della risposta negativa.
L’Iter
Allo stato attuale, quindi è semplicemente in corso l’iter per l’approvazione di un nuovo regolamento in materia di Novel food con l’ottica di snellire e semplificare il sistema attuale.
La proposta di regolamento attualmente in discussione prevede:
1. Di affidare direttamente all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) la valutazione di sicurezza;
2. Di definire i criteri da seguire per determinare se un prodotto sia o meno da considerare un novel food;
3. Di adottare di decisioni di autorizzazione valide per l’intero settore industriale (con la possibilità di adottare decisioni “nominative” in via transitoria a tutela degli investimenti in ricerca e sviluppo nel caso di prodotti innovativi);
4. Di introdurre una procedura semplificata per l’autorizzazione di prodotti con storia di consumo sicuro nel Paese di provenienza e l’abolizione della procedura di attestazione della sostanziale equivalenza;
5. Di facilitare, grazie a queste procedure semplificate, l’accesso al sistema per le piccole e medie imprese.
Mentre dall’altra parte, eccovi uno schema generale che spiega in elenco, quali tipologie di Novel food sono da notificare per la finalità di monitoraggio:
• Alimenti autorizzati per l'aggiunta di Fitosteroli come da decisioni autorizzative della Commissione Europea
• Alimenti addizionati di Licopene come da decisioni autorizzative della Commissione Europea
Gli Insetti sono considerati cibo tradizionale in altri Paesi, potranno essere immessi di default, come qualsiasi alimento analogo, anche sui nostri mercati.
Altrimenti, le aziende che vorranno introdurre insetti diversi come ingredienti nei loro prodotti o come alimento a se stante sottoporranno la richiesta. Questo avverrà anche in caso di cibi derivanti da funghi o alghe.
Le alghe sono un altro importante tema: per ora la loro produzione ha costi troppo elevati, ma lo studio delle proteine e degli acidi grassi presenti in esse potrebbe portare a migliorare in futuro la qualità di vita. Anche gli insetti, con il loro alto valore proteico e il basso costo di produzione, potrebbero essere una delle soluzioni alla malnutrizione.
OGM
Gli OGM non seguono la regolamentazione Novel Food ma una regolamentazione a parte. Con il fallimento avvenuto nel 2013 della discussione, e dell'accordo, sui Novel food è attribuibile anche alla presenza del tema della Clonazione, che stavolta è stato scorporato.
Nonostante questo alcuni temi della nuova regolamentazione, come quello dei nano-materiali, sono comunque molto dibattuti. Gli effetti di ingredienti nano-materiali nelle preparazioni alimentari sono tuttora in fase di studio e addirittura in questo campo è più avanti la tecnologia di produzione che quella della valutazione del rischio.
Attualmente la soglia di tolleranza, ovvero la quantità minima di nano-ingredienti per definire un nano-food, è del 50%, mentre la Commissione vorrebbe ridurla al 10%. Di fatto stiamo già assumendo alimenti con ingredienti nano-materiali, come Silica, Titanium dioxide, Zinc Oxide, Copper, Carbon Nanotubes, che potrebbero essere dannosi per la salute. L'introduzione sul mercato di carne prodotta in vitro per ora è fuori discussione, visto anche i prezzi altissimi per la sua produzione.
Tuttavia, l’immissione su mercati diversi di cibi nuovi o lontani dalla propria tradizione può in un certo qual modo scatenare nel consumatore una reazione di disgusto e disappunto che è legata all’aspetto emotivo. Il Regolamento, come la discussione di questi giorni è basato anche su questo. Per cercare un rimedio a tale problema team di assaggiatori valuterà la situazione.
Cosa mangeremo nel Futuro? La domanda legata a cibi particolari come gli insetti o quant’altro, è dunque ancora aperta e si sdoppia ancora tra Leggi, Regolamenti ed aspetto Emotivo-Culturale di ogni consumatore.
PER APPROFONDIRE:
1. Ministero della Salute
2. Novel Food - European commission
3. Reg. CE 258/1997
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L'archeologia dei Coloranti Animali negli Alimenti
Quasi come un archeologo , il consumatore oggi deve scavare le informazioni racchiuse nelle tante voci inserite in etichetta e nel prodotto stesso; come un archeologo deve cercare di carpirne i segreti che spesso non sono chiaramente esplicitati e da solo fare luce su ciò che sta acquistando.
E’ ben noto che gli additivi alimentari sono sostanze
deliberatamente aggiunte ai prodotti alimentari per svolgere determinate
funzioni tecnologiche, ad esempio per colorare, dolcificare o conservare.
Nell’Unione europea (UE) tutti gli additivi alimentari sono identificati da un
numero preceduto dalla lettera E. Gli additivi alimentari vengono sempre
menzionati nell’elenco di ingredienti degli alimenti in cui sono presenti.
Le
etichette dei prodotti devono riportare sia la funzione dell’additivo
nell’alimento finito (ad esempio, colorante, conservante) sia la sostanza
specifica usata, utilizzando il riferimento al relativo numero E o alla sua
denominazione (ad esempio, E 415 o gomma di xantano).
Gli additivi
che figurano più comunemente sulle etichette alimentari sono gli antiossidanti
(per prevenire il deterioramento da ossidazione), i coloranti, gli
emulsionanti, gli stabilizzanti, gli agenti gelificanti, gli addensanti, i
conservanti e i dolcificanti.
Tuttavia il mondo degli additivi è sempre in continua
evoluzione ed incremento in quanto danno al prodotto soprattutto industriale il
“valore aggiunto” al prodotto finito, ma spesso i consumatori non sanno o non
sono informati della provenienza di tali sostanze. Agroalimenti e Dintorni,
grazie a delle sollecitazioni ne fa una veloce una veloce ma pratica rassegna.
Chi è vegetariano o vegano, sa sicuramente quanto è
importante leggere le etichette dei prodotti che acquistano, ed in particolare
per i prodotti alimentari e per i prodotti di cosmesi e di igiene personale che
entrano a contatto diretto con la nostra pelle. Specialmente verso quei prodotti
che sembrano sicuri, ma che in realtà nascondono brutte sorprese che ci colgono
di sorpresa.
Per il consumatore infatti insiedie e brutte sorprese
possono arrivare leggendo si, casualmente l’elenco degli ingredienti
sull’etichetta ma soprattutto approfondendo l’origine di tali ingredienti,
poiché, tra i coloranti alimentari usati per il sidro,ad esempio, figura anche
la cocciniglia. Dunque, non solo il sidro non è un alimento vegano, e neppure
vegetariano, poiché la cocciniglia è un animale che viene allevato e ucciso per
il suo colore. Si tratta quindi di colorante alimentare animale.
Rimanendo nel generale la Cocciniglia è un colorante
ricavato da alcuni parassiti delle piante (da non confondere con la comune
coccinella), appartenente alla famiglia delle coccoidee, ed in particolare le
femmine della specie Dactylopius, Dactylopius coccus (che
vedete nella foto qui a lato… potete pensare di riuscire a berlo o mangiarlo?)
e della specie Kermes vermilio.
L’ insetto è scelto per la colorazione di alimenti, di
fibre e di altri materiali (come i colori per pitture di vario tipo) perché
secerne un liquido molto denso e dal colore arancione/rosso intenso, che
utilizza nel suo involucro esterno per proteggersi dai predatori. Proprio
questa colorazione brillante è ciò che l’uomo “estrae” dall’animale,
naturalmente uccidendolo in massa: basti pensare che per produrre un
chilogrammo di colorante servono 100.000 insetti.
Per ottenere il colorante, si macina il carapace degli
insetti (di solito li si uccide essiccandoli) per ottenerne una polvere, che
poi viene trattata con acqua calda per estrarne l’acido carminico, la molecola
colorata.
La cocciniglia viene purtroppo utilizzata per la produzione
della maggior parte dei coloranti rossi nell’industria alimentare (si tratta
del colorante E 120), e in misura minore per la tintura dei vestiti.
Nell’archivio di Trashfood sono
riportati diversi alimenti che contengono la E 120.
Tra gli
alimenti più comuni consumati forse inconsapevolmente dai vegetariani (non
parliamo dei salumi e gli hamburger industriali, che lo contengono per dare una
colorazione maggiormente appetitosa alla carne), la cocciniglia si trova in
prodotti per bambini come il Fruttolo, nel Campari (ecco da dove viene il suo
colore rosso profondo), mentre la Lindt lo usa nei cioccolatini Lindt Passion.
I lati
negativi d’utilizzo di questo insetto sono, non solo l’eliminazione in massa
dell’animale ma inoltre c’è da ricordare che questo tipo di colorazione e la
sua produzione è abbastanza costosa, e può causare allergie nei soggetti
predisposti.
Un altro uso della cocciniglia è quella dell’alchemes,
un liquore dal colore cremisi ottenuto da femmine di cocciniglia fecondate e
poi essiccate in appositi allevamenti, diffusi in tutto il Messico, ma anche
altrove.
Dunque
se a prima vista, sembrerebbe facile scegliere un’alimento “teoricamente”
sicuro, tuttavia mille insidie si possono nascondere in moltissimi alimenti
che ogni giorno appaiono ai nostri occhi.Non è infatti facile evitare nella
propria dieta prodotti di origine animale. Dopo tutto, carne, latticini,
uova, pesce, ecc..non hanno bisogno di presentazioni. Ma in realtà è invece
molto più difficile di quanto sembri! Infatti, non solo i prodotti di origine
animale ma anche i sottoprodotti di questi possono essere riscontrati negli
alimenti. Ingredienti di origine animale possono nascondersi proprio in quei
cibi e bevande di cui non sospetteremmo mai.
Il Carminio è
il sottoprodotto di quanto bbiamo detto prima della Cocciniglia, quindi un
colorante naturale rosso estratto dal corpo disseccato dell’insetto cocciniglia
del carminio (Dactylopius Coccus). Questo si può trovare facilmente
in bevande alla frutta, salse, ciliegie candite
in barattolo, ma è spesso anche usato nei cosmetici o
addirittura nelle pitture ad olio o negli acquarelli per
colorare.
Solitamente
quando viene utilizzato come additivo alimentare, il carminio deve essere
inserito negli ingredienti presenti nell’etichetta sulla confezione.
In
realtà l’allevamento di questi insetti, al fine dell’estrazione del
colorante, risale al Messico di ben 400 anni fa, ed oggi, secondo una relazione
del Wall Street Journal, gli insetti sono allevati in alcune aziende del Perù,
del Messico e delle Isole Canarie, dove si nutrono di cactus. La polvere
colorata è estratta e filtrata dai corpi riscaldati ed essiccati
dell’insetto femmina. Ci vogliono 70.000 coleotteri per fare un chilo di
carminio buono sul mercato.
Questo
colorante non è solo un pericolo per chi ha deciso di seguire un
alimentazione vegan, piuttosto lo è per la salute di chiunque altro, in quanto
le allergie che ne derivano posso essere molto gravi.
La
Caseina è una proteina che si trova principalmente nel latte fresco.
E’ utilizzata spesso come legante in molti alimenti ad esempio nel pane,
nei cereali trasformati, nelle zuppe istantanee,
nella margarina, nei condimenti per l’insalata nei dolci
e in molti preparati per torte. Ma si può trovare anche in
alcuni farmaci e per rendere le cose più difficili anche in alcuni
prodotti etichettati “senza lattosio”, in quanto questa indicazione non
sempre significa “senza latte”. Ma la difficoltà non è solo per chi ha scelto
una dieta vegan, piuttosto lo è anche per chi è allergico, come nel caso
del carminio, alla caseina. Infatti questo prodotto di origine animale deve
essere espressamente indicato nell’etichetta, ed è uno dei buoni motivi per
leggere attentamente le etichette.
La
colla di Pesce si ottiene dalla vescica natatoria dello storione ed è spesso
usata per schiarire vini (in particolare quelli bianchi) e birre. Sarebbe
arrivato proprio il caso di lasciare ai pesci le loro vesciche e stare più
attenti nel momento in cui si acquista una bottiglia di vino. Meglio preferire
sempre un buon bicchiere di vino di buona fattura. E per chi ha voglia di
dissetarsi con una “bella bionda” anche qui la scelta non manca.
Per molti di
noi, spesso, un dovere quotidiano è proprio quello di assumere ogni mattina
delle vitamine: sostanze nutritive importantissime che però sono molte
volte racchiuse in un piccolo cappuccio di “gel”, un piccolo tappo fatto
appunto di Gelatina.
Una
definizione generica di gelatina potrebbe essere questa: incolore, agente
addensante che viene utilizzata spesso per dare corpo ai dolci. Questo
addensante che solitamente viene utilizzato nell’industria farmaceutica
ed alimentare è appunto di origine animale, ed è preparato partendo
dalla denaturazione termica del collagene, isolato dalla pelle e dalle
ossa degli animali. Ma può anche essere estratto dalla pelle del pesce.
Possiamo
trovare la gelatina non solo nelle caramelle o sopra le vitamine
o medicinali in genere ma anche molto spesso nello yogurt e
nei cereali.
Dunque molta
attenzione! Un ottimo sostitutivo della gelatina e assolutamente naturale è l’agar
agar conosciuto anche come "kanten".
Il Siero è una
delle ragioni per cui molti vegetariani esitano ad intraprendere la via verso
il veganismo, è proprio il formaggio. Più in particolare, non vogliono
smettere di mangiare il formaggio e gli orrori sono meno evidenti con i
prodotti lattiero-caseari rispetto a quelli con la carne.
Ma forse
però ci si dimentica del caglio e della sua provenienza.
Infatti il caglio di origine animale è estratto dai vitelli o ovicaprini
non svezzati, ed è utilizzato proprio per la produzione del formaggio. A
peggiorare le cose, circa l'80 e il 90% di formaggi in commercio prodotti negli
Stati Uniti e in Inghilterra contengono caglio a base di OGM.
Un
sottoprodotto della produzione del formaggio, il Siero è la parte liquida del
latte che si separa dalla cagliata durante la caseificazione. Il siero è spesso
utilizzato come additivo in alcuni prodotti alimentari e di pasticceria,
e come cibo per animali. Il siero, essendo un’ottima fonte di
proteine, è la base di bevande proteiche degli atleti e di tutti coloro
che desiderano costruire o riparare i propri tessuti muscolari. E’ inoltre un
importante complemento per chi ha una mobilità limitata agli arti, in quanto
contribuisce alla prevenzione di atrofia delle cellule muscolari. Essendo un
prodotto di origine animale è indiscutibilmente fuori di una dieta vegan, ma
essendo una superlativa fonte di proteine molti vegetariani soprattutto
sportivi lo ricercano come ingrediente.
Ma dove si
trova nascosto il siero? Anche nei cereali in scatola,
nel pane ed infine nel muesli.
In
conclusione, per riconoscere ed evitare prodotti finti vegan è importante saper
leggere l’etichetta e quando ciò non basta mantenersi informati ed aggiornati
sui prodotti alimentari in commercio, bisogna dunque sapere che:
Lo zucchero bianco che per esser
così bianco subisce durante il suo processo di decolorazione una manipolazione
con il bone char (ossia un materiale prodotto dalla carbonizzazione delle ossa
animali) o ancora un'altro caso è dato dalla maggior parte delle fantastiche
caramelle rosse in commercio o ancora di alcuni vini o di alcuni succhi rossi,
tutti prodotti colorati
I coloranti
alimentare prendendo molto spesso il nome enigmatico di
"E120" o di "E124".
Estrema attenzione ai prodotti rinforzati ed
arricchiti come succhi d'arancia rinforzati o integrati
con omega-3 i quali infatti contengono amminoacidi estratti da grasso
(olio) di pesce o ancora prodotti rinforzati con vitamina D
(in genere D3) derivanti invece dalla lanolina ossia un'olio
derivato dalla lana delle pecore, tutt'altro che vegan naturalmente.
Panini, brioches e
prodotti da forno possono essere preparati usando l'enzima L-cisteina
come condizionante della pasta in panini e molti altri prodotti trasformati da
forno, che di solito proviene da piume d'anatra e di pollo.
Non soffermarsi solo sugl’ingredienti
citati sulla confezione ma approfondire la loro provenienza ed ottenimento.
Ridurre il consumo di prodotti
industriali.
La lista
degli additivi è certamente lunga ma, qui si è voluto elencare la presenza dei
più comuni, in quanto se questi ultimi sono presenti è sicuramente certo o
aumenta la probabilità che altri additivi meno noti sono presenti anch’essi
nella preparazione dell’alimento considerato.
Anisakis: Un parassita da Prodotto Ittico
Gli Anisakis sono dei nematodi patogeni per l'uomo,
responsabili d'infezioni note come "anisakidosi" o "anisakiasi".
Le malattie veicolate dagli Anisakis vengono contratte dopo l'ingestione di pesce crudo
o poco cotto contaminato dal parassita. Il genere Anisakis comprende
alcune specie di parassiti
che popolano abitualmente l'apparato
digerente di certi pesci,
molluschi
e mammiferi marini.
Sono visibili ad occhio nudo e misurano dagli 1 ai
3 cm, vanno dal colore bianco al rosato, sono sottili e tendono a
presentarsi arrotolati su loro stessi.
Il parassita si trova, allo stadio adulto, nell'addome
dei mammiferi marini (balene, foche, delfini),
più precisamente nello stomaco, e sono visibili a occhio nudo. Nei pesci sono
presenti all'interno delle carni, prevalentemente nella parte inferiore, dove
assumono una colorazione biancastra.
Le specie di
anisakis svolgono il loro ciclo biologico in ambiente marino.
Le uova sono rilasciate in acqua attraverso le
feci dei mammiferi marini e si sviluppano vari stadi larvali. Dopo la schiusa
vengono ingeriti dai primi ospiti intermedi, di solito i piccoli crostacei
che costituiscono il krill. Il krill a sua volta viene ingerito dal
secondo ospite intermedio, o paratenico (cioè in cui il parassita non può
svilupparsi e crescere), che è il pesce.
A questo punto si sviluppa l'ultimo
stadio larvale che può passare direttamente al suo ospite definitivo (mammiferi
marini) per il completamento del suo ciclo biologico, oppure può trovarsi
accidentalmente in un altro ospite, definito per questo accidentale (nel
quale il parassita non evolve a successivi stadi di sviluppo), che può essere
l'uomo se quest'ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto che contenga al suo
interno la larva di Anisakis.
Le larve di
anisakis sono un rischio per la salute umana in due modi:
- Parassitosi causata da ingestione di pesci crudi contenenti le larve;
- Reazione allergica ai prodotti chimici liberati dalle larve nei pesci ospiti.
Molti
prodotti ittici possono essere interessati dall'infestazione da anisakis e, tra
questi, quelli più a rischio sono pesce sciabola, lampuga, pesce spada,
tonno,
sardine, aringhe,
acciughe, nasello, merluzzo,
rana pescatrice e sgombro,
o più generalmente il pesce azzurro.
Dei 5
generi, 4 causano malattie nell'uomo e in altri animali:
- Anisakis, tra cui Anisakis simplex e Anisakis physeteris
- Pseudoterranova
- Contracaecum
- Phocascaris
Tra questi,
i nematodi appartenenti al genere Anisakis sono probabilmente i più frequenti
parassiti trasmessi dai prodotti ittici all'uomo.
L'Anisakis presenta tutte le caratteristiche tipiche dei nematodi: il corpo è cilindrico e vermiforme, a sezione circolare, che ben si differenzia da quello dei platelminti (vermi piatti).
LA MALATTIA
L'anisakidosi
o anisakiasi è un'infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata
dall'ingestione di prodotti ittici crudi o non sufficientemente cotti
contenenti le larve di Anisakis simplex. Il primo caso di infestazione
umana da parte di un membro della Famiglia delle Anisakidae è stato
descritto nei Paesi Bassi negli anni sessanta.
È riportata
un'alta prevalenza di parassitosi nei paesi dove
il pesce viene consumato crudo, leggermente sottaceto o sotto sale, soprattutto
in Scandinavia
(dal fegato
di merluzzo), in Giappone (dal consumo di sushi e sashimi),
nei Paesi Bassi (dalle aringhe in salamoia, le cosiddette maatjesharing)
e nella costa del Pacifico del Sud America
(dall'insalata di mare nota come ceviche).
Negli Stati Uniti
sono descritti meno di dieci casi all'anno.
Lo sviluppo di migliori strumenti
diagnostici e la maggior consapevolezza della malattia hanno portato
a un aumento della frequenza di casi di anisakiasi. I casi stimati nel mondo
sono 20.000 ogni anno.
Dopo
l'ingestione larve vitali possono essere espulse nelle 48 ore successive,
oppure possono penetrare immediatamente nella mucosa gastrica
causando un dolore addominale violento, correlato a nausea e vomito,
talvolta delle stesse larve.
Qualora
queste riescano a passare nell'intestino, si può manifestare un'importante risposta immunitaria eosinofila
e granulomatosa,
generalmente una o due settimane dopo l'infezione, con una clinica del tutto
simile a quella della malattia di Crohn, con dolore addominale
intermittente, nausea, diarrea e febbre. È anche possibile che si manifesti un'emergenza medica
come la perforazione intestinale.
METODI
CONTRO L’ANISAKIS
L'efficacia
del congelamento del pesce crudo nel prevenire l'anisakiasi dipende sia dalla
temperatura cui è portato il pezzo, sia dalla durata del trattamento. Vari
studi, condotti negli anni novanta e duemila
indicano che il mantenimento dell'intero stock di pesce in tutte le sue parti a
una temperatura inferiore a -18 °C per almeno 96 ore, sia necessario a
determinare la morte delle larve dei nematodi. È tuttavia ritenuto opportuno
far seguire al trattamento termico la conservazione del pesce nel medesimo
stato di congelamento.
Tuttavia,
tra i congelatori domestici, solo quelli a tre o quattro stelle sono in grado
di raggiungere tale temperatura, mentre quelli a una o due stelle raggiungono
rispettivamente una temperatura non sufficiente di -6 e -12 °C.
Anche
nei trattamenti ad alta temperatura, l'efficacia nella prevenzione
dell'insorgenza dell'anikasiasi dipende dalla durata e dalla temperatura. In
particolare, l'EFSA suggerisce che si
deve portare la parte più interna del pesce ad una temperatura superiore a 60
°C per almeno un minuto. Tuttavia, come è facile intuire, per ottenere questo
risultato è necessario cuocere il pesce per una durata più lunga e ad una
temperatura maggiore. Per un filetto di 3 cm è necessaria una cottura di almeno
dieci minuti per raggiungere tale scopo.
PREVENZIONE
L'Organizzazione mondiale della sanità
raccomanda che l'eviscerazione, la cottura, il congelamento ad almeno -23 °C
per una settimana, avvengano il più presto possibile.
Nei paesi
dell'Unione europea la normativa CE 853/2004
approvata dal parlamento europeo raccomanda il congelamento
dei prodotti ittici a -20 °C per almeno 24 ore e prevede l'ispezione a campione
dei prodotti ittici, l'eventuale identificazione del parassita e la conseguente
rimozione dal mercato dei prodotti pesantemente contaminati. Inoltre, tale
normativa prescrive per i ristoratori l'obbligo di munirsi di abbattitori di temperatura in relazione ai
quantitativi di prodotto che si intendono trattare.
Negli Stati Uniti
la FDA raccomanda il congelamento ad almeno
-35 °C per quindici ore ad almeno -20 °C per una settimana, mentre CDC
raccomanda la cottura dei prodotti ittici ad almeno 63 °C o il congelamento ad
almeno -20 °C per una settimana, oppure ad almeno -35 °C fino alla solidificazione
con immagazzinamento a -35 °C per 15 ore o a -20 °C per 24 ore.
PIL e TTIP: Accordi e Disaccordi
Secondo il TTIP (Transatlantic
Trade and Investment Partnership),
il
Partenariato transatlantico per il
commercio e gli investimenti l’obiettivo è di far interagire due mercati comportando la riduzione dei dazi doganali
e rimuovendo in una vasta gamma di settori le barriere non tariffarie, cioè le
differenze in regolamenti tecnici, norme e procedure di omologazione,
standard da applicare ai
prodotti, regole sanitarie e fitosanitarie. Ciò renderebbe
possibile la libera circolazione delle merci, faciliterebbe il flusso degli
investimenti e l'accesso ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti pubblici.
E’ tuttavia un accordo commerciale di libero scambio
in corso di negoziato dal 2013
tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America e qualsiasi
soggetto economico privato, se espropriato dei suoi attuali investimenti,
avrebbe diritto a compensazioni a valore di mercato, aumentate di interesse
composto. Sarà ammessa la libera circolazione dei lavoratori in tutte le
nazioni firmatarie, ed è stato proposta l'ammissibilità, per i soggetti
economici privati, di muovere azioni legali contro i governi in presenza di
violazione dei diritti.
A conti fatti ci sarebbero delle eventuali conseguenze
a tale tipo di rapporto ed è quello che hanno posto coloro che non la pensano
come chi sostiene il rapporto: ad esempio, la campagna Stop Ttip Italia (di cui
fanno parte decine di associazioni, sindacati, reti agricole) si appoggia a
studi opposti, come quello della Tufts University del Massachussets, secondo
cui ci sarà una perdita di 600mila posti di lavoro e un calo del reddito
procapite tra i 165 e gli oltre 5mila euro in tutta Europa. Anche il premio
Nobel per l’economia Joseph Stiglitz sostiene che l’accordo “potrebbe rivelarsi
molto negativo per l’Europa”, rischiando di approfondirne la recessione e
garantendo “campo libero a imprese protagoniste di attività economiche nocive
per l’ambiente e la salute”.
Il TTIP porterebbe grandi rivoluzioni in quanto si
acconsentirebbe di vendere in paesi riceventi i prodotti provenienti da altri
ma ottenuti con leggi e regole del paese produttore. Oggi ad esempio molte
leggi firmate e legali in altri paesi circa l’ottenimento di un prodotto
alimentare non sarebbero legali in Italia e così via. Si avrebbe così la
vendita in Italia di pollo igienizzato con il cloro, carne piena di antibiotici
oppure “Gorgonzola” che, in realtà, viene dall’Illinois, inoltre si potranno
importare in Italia prodotti ottenuti con molteplici sostanze chimiche ora
illegali ma che non lo saranno più.
Ciò comporterebbe due problemi: il primo e
sicuramente il più importante è quello legato alla salute dei consumatori e il
secondo di carattere economico, infatti ciò causerebbe un ulteriore danno alle
imprese locali che operano nel prodotto tradizionale-tipico e probabilmente
sulla spesa pubblica circa il sistema sanitario.
I vantaggi, per i consumatori, possono essere: più
scelta di prodotti e servizi, prezzi più bassi, una maggiore cooperazione tra
le agenzie di allerta rapido e tracciabilità di prodotti alimentari e non, di
cui entrambi i Paesi avrebbero bisogno. Ad esempio, armonizzare le norme Ue
agli standard Usa per l’immissione in commercio di dispositivi medici (valvole
cardiache e protesi varie), inoltre potrebbe portare a un miglioramento per il
Vecchio Continente, dove i controlli sulla sicurezza di questi prodotti sono
relativamente carenti.
Insomma, se ci
fosse un negoziato che punta ad armonizzare le regole verso il meglio ne
avremmo tutti da guadagnare. Ma, nell’eventualità che ciò non accada, i rischi
per i consumatori europei sono troppi: si lascerà che le piccole e medie
imprese italiane vengano fagocitate dalle grandi multinazionali americane che
sbarcheranno in Europa, si lascerà che le 1.328 sostanze chimiche vietate nei
prodotti e nei cosmetici europei perché considerate nocive (contro le 11
proibite negli Usa) abbiano accesso al nostro mercato per fare un piacere alle
imprese degli States, si lascerà che i nostri severi standard sulla protezione
dei dati e sulla privacy facciano spazio alle regolamentazioni molto più blande
a stelle e strisce. In tante cose siamo diversi.
È chiaro che le forti lobby
delle imprese americane stanno già premendo e premeranno ancora per non doversi
adeguare a normative più stringenti, la nostra impressione è che, a causa della
crisi, pur di aumentare punti di PIL e di chiudere le trattative al più presto,
l’Europa possa essere disposta ad accettare qualsiasi accordo. I nostri
politici e le nostre aziende si aspettano moltissimo dal Ttip e per ottenere,
in queste situazioni - si sa - bisogna cedere.
IL CIBO SICURO E’ alla base di una società sana
equilibrata e con diritti.
Il principio di precauzione. Conseguentemente alla
“mucca pazza” l’Europa si è dotata di un sistema legislativo piuttosto rigido
sulla sicurezza alimentare: se c’è un rischio molto elevato che un prodotto
possa far male, le autorità possono intervenire in attesa di accertamenti
scientifici; negli States, invece, vige il principio praticamente opposto, per
cui alimenti e procedure sono sicuri fino a prova scientifica contraria. È
impensabile che, nel negoziato, il principio di precauzione possa essere scalfito.
Severità sulla filiera. In Europa la sicurezza
alimentare deve essere garantita lungo tutta la filiera produttiva, “from farm
to fork” (dai campi alla tavola), con prerequisiti igienici dei produttori,
tracciabilità del prodotto ecc.; il sistema Usa, invece, verifica per lo più la
sicurezza del prodotto finito (ecco perché i trattamenti di decontaminazione
chimica delle carni, come la Clorina, sono così diffusi). Un cambio di
approccio non sarebbe ammissibile.
Meno potere alle imprese. Anche le procedure di
controllo sono diverse: le autorità americane si fidano molto delle aziende,
che possono autodichiarare la sicurezza dei prodotti informandone la Fda (Food
and Drug Administration, l’autorità americana per la sicurezza alimentare e dei
farmaci), che non ha alcun obbligo di rivedere la loro valutazione. In Europa,
invece, i prodotti regolamentati (ad esempio gli Ogm) vengono autorizzati solo
dopo i controlli dell’autorità competente, l’Efsa (European Food Safety
Authority) e dopo l’approvazione della Commissione Ue, del Parlamento e dei
singoli Paesi membri.
No agli ormoni nella carne. In Europa è proibito
somministrare ormoni al bestiame per farlo crescere di più, perché mancano
sufficienti studi circa la loro sicurezza. Negli Usa invece è ammesso l’uso di
queste sostanze che riducono i tempi di allevamento e quindi fruttano
moltissimo alle industrie. Il nostro divieto si applica naturalmente anche alle
importazioni: nonostante le insistenti richieste degli Usa, la carne americana
che si vende da noi, è solo quella che rispetta i nostri standard. Esigiamo che
continui ad essere così.
Meno antibiotici. Negli allevamenti americani gli
antibiotici possono essere usati in dosi maggiori, anche per far crescere di
più gli animali. In Europa i limiti sono più restrittivi e questi farmaci
possono essere usati solo per proteggere il bestiame dalle malattie. Il
problema legato agli antibiotici comunque sussiste: quello che sta succedendo è
che usandone sempre di più negli allevamenti, i batteri diventano sempre più
resistenti e questa resistenza può trasferirsi anche agli antibiotici usati per
gli uomini, che perdono il loro effetto (25mila morti all’anno in Europa e
23mila negli Stati Uniti per problemi legati alla resistenza dei batteri).
Da
tempo chiediamo all’Ue ancora più severità, figuriamoci se potremmo mai
accettare una deregolamentazione per far entrare più carne americana.
Ancora una volta la Qualità non è un fattore
aggiuntivo alla vita e non è un qualcosa da usare semplicemente per dare
pubblicità, per creare una filiera marketing o perché è semplicemente obbligata
e quindi da sbrigare velocemente senza credere in quello che si sta facendo. La
qualità è il biglietto da visita di un paese, è quello che non lo confonde tra
gli altri paesi al mondo ed è quello che ne determina la supremazia decisionale
interna.
Agroalimenti e Dintorni
con la collaborazione di Velia Mingione
Meglio un uovo e un pollo oggi che del manzo e dei latticini
domani! Ecco perché
La carne nei nostri piatti è uno dei più grandi
nemici del clima, ormai lo sappiamo. Questo non significa che dobbiamo
adottare una dieta veg per salvare il Pianeta? La riposta è no per la Chalmers
University of Technology, secondo la quale basterebbe mangiare carne di pollo
invece che di manzo. Sarebbe persino meglio di un vegetariano che consuma molti
latticini.
"L'allevamento del bestiame è già
responsabile del 15 per cento dei gas serra che gli esseri umani provocano. La
dieta a cui siamo abituati nei paesi ricchi non è coerente con i nostri
obiettivi climatici", afferma il
ricercatore David Chalmers Bryngelsson, che ha recentemente presentato la sua
tesi di dottorato su uso del suolo, emissioni di gas serra legati all'alimentazione
e cambiamento climatico.
Tra le altre cose, ha indagato sui vari scenari futuri
per determinare come il clima sarebbe influenzato se gli esseri umani
cambiassero la loro dieta. La sua ricerca dimostra è possibile continuare a
mangiare proteine animali e dare lo stesso un importante contributo al clima,
ma bisogna sostituire il manzo con pollame e uova, riducendo il consumo di
latte e formaggi.
Secondo i suoi calcoli, le persone che seguono una
dieta estremamente ricca di proteine derivate dal pollo possono dare un
maggiore contributo all'ambiente dei vegetariani che consumano grande quantità
di prodotti lattiero-caseari. Questo ovviamente senza considerare le obiezioni
etiche legati all'industria del pollo. Si potrebbe dire, per semplificare, che
il pollo è come un'auto elettrica. Non è una bicicletta, ma i
un'alternativa migliore e molto simile a quello che siamo abituati a fare oggi.
Ma chi mangia carne può stare davvero tranquillo? Lo studio non considera, ad
esempio, l'uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti. Secondo l'Oms
l'antibiotico resistenza, ovvero la capacità di un batterio di resistere ai
farmaci antibiotici, provoca solo in Europa 25 mila morti l'anno.
E intanto anche il comitato consultivo che si occupa
di formulare linee guida dietetiche e nutrizionali, braccio del Dipartimento
federale della Sanità e Servizi Umani degli Stati Uniti, ha
raccomandato per la
prima volta di eliminare la carne e i latticini dalla dieta, perché la
loro produzione sta danneggiando il pianeta. Le raccomandazioni del comitato
aiutano il governo federale a formulare le quantità giornaliere raccomandate di
nutrienti, calorie e grassi. Il governo rilascerà i suoi nuovi orientamenti
entro la fine dell'anno.
Ecco un abstract del documento, per visualizzarlo completo segui il
link:
Land-use
competition and agricultural greenhouse gas emis-
sions in a
climate change mitigation perspective
DAVID
BRYNGELSSON
Department
of Energy and Environment, Chalmers University of Technology
Abstract
Productive
land for food production, bioenergy, or preservation of nature is a
limited
resource. Climate change mitigation puts additional pressure on land
via higher
demand for bioenergy to replace fossil fuels and via restrictions on
deforestation—two
processes that limit the availability of land for food produc-
tion, and
may thus also raise food prices. Methane and nitrous oxide emis-
sions from
agriculture may also need to be reduced to efficiently mitigate climate
change. This
thesis deals with this in three ways.
In papers
I–II, we estimate greenhouse gas emissions from food production
for current
diets and expected future developments, together with alternative di-
etary
developments and potential technical improvements in the agricultural sec-
tor. Costs
and possibilities for reaching climate goals are analyzed for the differ-
ent diets.
The results indicate that a phase out of ruminant products would cut
mitigation
cost in half, for staying below a 2
C limit, and
it may be necessary if the climate
sensitivity is high.
In papers
III–IV, a conceptual and transparent partial equilibrium model of
global
land-use competition is developed, analyzed and applied. The model is
to a large
degree analytically explored and price differentials between crops are
derived. The
model is subjected to a detailed characterization of its mechanisms
and
parameters that are critical to the results. We conclude that the total amount
of
productive agricultural area and bioenergy yields are of crucial importance to
the price
impacts from large-scale introduction of bioenergy. We also show how
limiting
bioenergy production to marginal land could be difficult to implement in
practice.
In paper V,
we use two established indicators for poverty and sensitivity to
food-price
changes to capture peoples’ vulnerability to rising food-prices in four
Sub-Sahara
African countries/regions. In contrast to previous studies, we include
all food
products instead of just one or a few main staples. We found that the vast
majority of
people are net consumers of food and that the inclusion of more than
main staples
increases their net position as consumers and thus vulnerability to
high food
prices.
Keywords:
Land use
competition, GHG emissions, Diets, Food consumption,
Bioenergy,
Partial equilibrium model, Climate change, Integrated assessment
model, Mitigation,
Livestock
_________________________________________________________________
L'organizzazione
delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, in sigla FAO, è
un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite con il mandato di
aiutare ad accrescere i livelli di nutrizione,
aumentare la produttività agricola, migliorare la vita delle popolazioni rurali
e contribuire alla crescita economica mondiale. La FAO lavora al servizio dei
suoi paesi membri per ridurre la fame cronica e sviluppare in tutto il mondo i
settori dell'alimentazione e dell’agricoltura.
Fondata il 16 ottobre
1945 a Québec
del Canada,
dal 1951 la
sua sede è stata trasferita da Washington a Roma presso il Palazzo FAO.
Da novembre 2007 ne sono membri 191 paesi più l'Unione europea.
Oggi, con le innumerevoli
produzioni industriali è sempre più vivo ed importante capire e conoscere la
provenienza di ciò che è dato al consumatore, ciò, non solo per un fattore
strategico legato al produttore ma anche per un fattore qualitativo, poiché è
ovvio pensare che la provenienza e il metodo di ottenimento della materia prima
influisce sul prodotto alimentare e quindi sulla salute di chi lo mangia.
L’articolo di oggi ci permette di chiarire un argomento molto delicato, perché
poco conosciuto e poco trattato: l’etichettatura del pescato,
con le indicazioni di provenienza e
tracciabilità, grazie alle zone di pesca FAO, che, espresse in numeri, indicano
Oceani, Mari e porzioni degli stessi.
La necessità è data dal tutelare
chi lavora bene e creare una fitta rete di tracciabilità per garantire un
prodotto più sicuro. La Fao ha suddiviso tutte le aree marine del pianeta in
ZONE di pescat ciò adibite alla pesca, le quali sono controllate e gestite.
Eccovi qui allora proposto
l’elenco completo delle aree:
AD esempio la pesca del tonno a pinne gialle viene
effettuata nell'area FAO 71 (Pacifico Occidentale Centrale - antistante
Filippine, Papua Nuova Guinea, Indonesia e Australia del nord) caratterizzata
da calde acque tropicali. Il tonno a pinne gialle non è presente nell'area FAO
61 (Oceano Pacifico del Nord Ovest - antistante il Giappone) per via delle
temperature troppo basse dell'acqua.
Per garantire la tracciabilità di un prodotto ittico, molte
sono le informazioni richieste e da documentare: il nome della nave e le date
di pesca, la specie, il metodo di pesca, la zona FAO di provenienza del pescato
e altre ancora.
Per comprendere al meglio l’importanza della suddivisione in
Zone Fao alleghiamo un Abstract del manuale che spiega la gestione della pesca
in Italia:
La programmazione
nazionale e le misure di gestione
Il sistema
di gestione della pesca in Italia è basato su sistemi di regolazione dello
sforzo di pesca; le caratteristiche fisiche del Mediterraneo e le peculiarità
della pesca hanno influito nella definizione del regime gestionale adottato. La
piattaforma continentale è generalmente molto ristretta, la pesca è svolta da
battelli di dimensioni limitate che operano in prossimità della costa e dei
numerosi punti di sbarco, utilizzando una moltitudine di sistemi e tecniche di
pesca. Le pesche sono multi specie e, in molti casi, le uscite in mare sono
limitate a poche ore. Altro elemento caratterizzante la pesca è rappresentato
dall’artigianalità
della struttura produttiva; il 70% del naviglio è
costituito da imbarcazioni con una lunghezza fuori tutta inferiore ai 12 metri;
tale flotta si caratterizza per un’elevata multi specificità degli attrezzi da pesca utilizzati, che varia
in funzione della stagione, della specie target o delle condizioni climatiche.
Considerate tali specificità, a partire dagli anni ottanta il regime di
regolazione dello sforzo di pesca è stato considerato il più appropriato per la
gestione della pesca in ambito mediterraneo; la stessa FAO, nel 1993, esaminati
i diversi tipi di misure gestionali, concludeva che misure basate sul controllo
dell’output, quali le quote totali ammissibili, non
erano appropriate al Mediterraneo considerata l’importanza della flotta artigianale e la natura
multi specifica della pesca (FAO, 1999). La restrizione della capacità di pesca
rientra tra le misure dell’input che incidono direttamente sulla dimensione
dello sforzo di pesca dato che, come è
noto, questa variabile permette di individuare il reale impatto che l’attività di pesca esercita sugli stock ittici. Per
quanto lo sforzo di pesca sia un insieme alquanto eterogeneo di input, esso può sempre essere ricondotto a quattro componenti
principali: • il numero
delle unità produttive;
• la
capacità potenziale media di ciascuna imbarcazione,
espressa generalmente in base alle caratteristiche dimensionali, alla tipologia
di attrezzi impiegati, al numero dei componenti l’equipaggio,
ecc.; • l’intensità media delle operazioni di pesca per unità di tempo, che misura la frazione di capacità potenziale media effettivamente utilizzata; •
il tempo medio trascorso in mare. A questi fattori andrebbe inoltre aggiunta l’abilità o l’esperienza dei pescatori. Si tratta, tuttavia,
di una variabile difficilmente misurabile e che, per tale ragione, viene
normalmente trascurata (Charles, 2001). Le misure di controllo dell’input
incidono, dunque, sulle componenti principali dello sforzo di pesca e,
pertanto, esse includono: • le restrizioni all’accesso
alla zona di pesca (attraverso la limitazione delle licenze o dei permessi di
pesca); • le restrizioni alla attività
di pesca, cioè alla quantità di tempo che i battelli possono impiegare nell’esercizio
delle attività di pesca
(come le quote individuali di sforzo e le giornate di pesca); • le
restrizioni alla capacità di pesca,
cioè alla dimensione dei battelli e alla potenza motrice e agli attrezzi.
508 Sezione
terza - Capitolo 10 - La programmazione nazionale e le misure di gestione
La gestione
dello sforzo di pesca a livello nazionale è stata attuata tramite l’implementazione
di un sistema basato sulle licenze di pesca e sul controllo della capacità di
pesca. Le licenze di pesca sono state introdotte in Italia nel 1982 con l’approvazione
della legge n. 41; è stato
stabilito il principio che solo chi è
in possesso di regolare licenza di pesca è abilitato allo sfruttamento delle
risorse ittiche. L’obiettivo associato con l’introduzione
delle licenze, o dei permessi, va individuato nella duplice esigenza di
limitare un’eccessiva espansione dello sforzo di pesca e/o
prevenire un’eccessiva sovracapitalizzazione della flotta in
una determinata area di pesca. Nel caso in cui la pesca è svolta in modo
omogeneo e non è possibile distinguere fra aree diverse, particolari periodi
dell’anno o singoli stock, la licenza costituisce
titolo essenziale per l’accesso allo sfruttamento delle risorse e per la
continuità stessa dell’attività produttiva. Il rilascio della licenza soddisfa
due ordini di esigenze; la prima di tipo amministrativo e anagrafico, nel senso
che attraverso la licenza l’autorità
di gestione è in grado di acquisire un certo numero di informazioni sulla
flotta. La seconda è di tipo gestionale, dato che una volta che la struttura
della flotta da pesca è nota, è possibile adottare misure di gestione
appropriate in funzione delle caratteristiche dei diversi segmenti della flotta
e del loro specifico impatto sulle risorse.
L’importanza
è dunque rintracciabile, monitorare, gestire e tutelare la Pesca nel mondo.
LA MALA PRODUZIONE
“Che il Cibo sia la Tua medicina, e che la
Medicina sia il Tuo cibo..." così recitava Ippolito di
Kos molti secoli fa, quando nell’antichità era già chiara la relazione tra
alimento e stato di benessere e salute.
Eppure, oggi nel moderno 2015, dove gli stati parlano
di progresso e di lavorare per garantire una vita più facile e migliore,
quotidianamente si mettono sul mercato prodotti dannosi e quindi pericolosi per
coloro che li mangiano. Ne è un dato che, secondo l' Organizzazione Mondiale della Sanità il 50-60 per cento di tutti i
tumori potrebbero essere evitati con una “buona dieta” che
limiti fortemente il consumo di proteine animali.
Analiziamo ora il termine “BUONA DIETA”. Per dieta si
intende stile, prassi, abitudine, scelta, è su quest’ultima che punterei
l’attenzione perché oggi più spesso abbiamo persone e quindi consumatori che
sanno tutto su uno smartphone e al momento dell’acquisto si pongono mille
domande sull’affare e poi non sanno nulla e quindi non si pongono domande al
momento dell’acquisto del cibo. Si possono così notare gente che si adatta e
che compra ciò che la massa dice di comprare. Per Buona si intende adatta a se
stessi, cioè al proprio corpo, alle proprie necessita e alla propria vita, non
c’è qui la “globalizzazione della salute”, come vogliono far credere ma
specificità e personalizzazione.
Relazione
tra adenoma colon rettale ed assunzione alimentare di carne
Nessuno studio precedente ha valutato contemporaneamente le associazioni tra assunzione di carne, metodi di cottura della carne e livelli di cottura, mutageni nella carne (amine eterocicliche e idrocarburi aromatici policiclici), ferro eme e nitriti derivati dalla carne, e carcinoma colon rettale nelle donne asintomatiche che si devono sottoporre a colonscopia.
Delle 807
donne idonee all’arruolamento in uno studio di screening multicentrico con
colonscopia, 158 casi di adenoma colon rettale e 649 controlli hanno completato
il questionario sulla frequenza alimentare e sulla carne.
Utilizzando un database sui mutageni della carne e nuovi database sul ferro eme e sui nitriti, un gruppo di Ricercatori del National Cancer Institute negli Stati Uniti, ha valutato i componenti della carne che potrebbero essere coinvolti nella carcinogenesi.
La carne rossa è risultata positivamente associata ad adenoma colon rettale (odds ratio, OR quarto versus primo quartile: 2.02; P per tendenza=0.38 ).
Anche l’assunzione di carne saltata in padella ( OR=1.72; P per tendenza=0.01 ) e l’amina eterociclica, 2-amino-3,8-dimetil-imidazo[4,5-f]chinoxalina ( MeIQx ) ( OR=1.90; P per tendenza=0.07 ), sono risultate associate a un aumento del rischio di adenoma colon rettale.
Utilizzando un database sui mutageni della carne e nuovi database sul ferro eme e sui nitriti, un gruppo di Ricercatori del National Cancer Institute negli Stati Uniti, ha valutato i componenti della carne che potrebbero essere coinvolti nella carcinogenesi.
La carne rossa è risultata positivamente associata ad adenoma colon rettale (odds ratio, OR quarto versus primo quartile: 2.02; P per tendenza=0.38 ).
Anche l’assunzione di carne saltata in padella ( OR=1.72; P per tendenza=0.01 ) e l’amina eterociclica, 2-amino-3,8-dimetil-imidazo[4,5-f]chinoxalina ( MeIQx ) ( OR=1.90; P per tendenza=0.07 ), sono risultate associate a un aumento del rischio di adenoma colon rettale.
I nuovi
database hanno portato a stime più basse di ferro eme e nitriti rispetto ai
precedenti metodi di valutazione, nonostante i due metodi siano risultati
fortemente correlati per entrambe le esposizioni. Anche se non statisticamente
significative, sono state osservate associazioni positive tra ferro e ferro eme
della carne e l’adenoma colon rettale.
In conclusione, in donne asintomatiche che si sottopongono a colonscopia, gli adenoma colon rettali sono risultati associati a una elevata assunzione di carne rossa, carne saltata in padella e all’amina eterociclica MelQx.
In conclusione, in donne asintomatiche che si sottopongono a colonscopia, gli adenoma colon rettali sono risultati associati a una elevata assunzione di carne rossa, carne saltata in padella e all’amina eterociclica MelQx.
I consumi
moderni
Un italiano, nella sua vita, mangia mediamente 1400
animali, Gli italiani consumano circa 87 kg di carne pro-capite all'anno,
secondo le stime di Assomacellai, e quella bovina la fa da padrone con il 27%
dei consumi totali. La spesa per acquisti di carne delle famiglie italiane è di
29 miliardi di euro e l'incidenza della spesa per carne sulla spesa alimentare
in percentuale è del 23,2%. L'Italia è il secondo Paese a livello europeo per
consumo della carne bovina e al primo posto c'è la Francia con 1,7 milioni di
tonnellate. Il Retail assorbe 1 milione 281mila tonnellate, di cui 490mila
attraverso il dettaglio tradizionale (le macellerie) e 791mila tramite la
distribuzione moderna. Il canale Horeca assorbe 195mila tonnellate. In Italia
sono attivi circa 80mila allevamenti specializzati nel segmento della carne
bovina (dati Istat); 2.200 macelli industriali e 50mila punti di vendita al
dettaglio, di cui 37mila sono le classiche macellerie (fonte Osservatorio
Agri&Food di Cremona Fiere, dati riferiti al 2009).
La mattazione è un processo che segue regole ben
precise e soprattutto regole legate a considerare il rispetto verso gli
animali, anche durante questi difficili momenti. Tuttavia i consumi sempre in
aumento hanno portato l’aumento anche degli stabilimenti di mattazione in
grande scala. Ciò porta una serie di problematiche sul modo spesso usato per
velocizzare le operazioni.
Un esempio; Questo maiale è ancora cosciente mentre
viene immerso nell’acqua bollente.
Secondo un operatore all’interno di un mattatoio: “Non c’è modo che questi animali sanguinino a morte nei pochi minuti che percorrono la rampa. Nel momento in cui finiscono nella vasca di ebollizione, sono ancora pienamente coscienti e si lamentano. Succede sempre”.
Secondo un operatore all’interno di un mattatoio: “Non c’è modo che questi animali sanguinino a morte nei pochi minuti che percorrono la rampa. Nel momento in cui finiscono nella vasca di ebollizione, sono ancora pienamente coscienti e si lamentano. Succede sempre”.
Si possono scegliere vie diverse soprattutto sul punto
di vista macellazione, regole che già esistono e che dovrebbero essere
rispettate sempre.
LA QUESTIONE OGM
Sul fronte della tecnologia e della sperimentazione, i
moderni esperimenti di laboratorio, la scienza hanno architettato e prodotto
un’altra invenzione in ambito di allevamento di massa, trasformando le mucche
in una enorme massa di muscoli. Ciò è quello che comunemente è definito
prodotto OGM
(Organismo geneticamente modificato).Questa invenzione ha
sicuramente dei lati positivi tra le quali quella di poterci aiutare in alcuni
campi a fronteggiare delle difficoltà ma se abusata o mal utilizzata può
diventare una terrificante arma contro la produzione e lo sviluppo anche per
l’uomo stesso.
Tuttavia oltre a poter produrre interi capi atti alla macellazione OGM si è pensato di creare anche specifici mangimi OGM che vengono poi selezionati e somministrati a questi animali per produrre così carni bovine di “alta qualità”, atte poi a soddisfare i bisogni del consumatore. La regola di base è maggiore massa muscolare e quindi carne nel quarto e il minor quantitativo di scarto e ciò in termini di ricavo significa poter guadagnare di più, ma cosa dire quando il maggior guadagno ha il prezzo della salute di chi compra o ancor peggio del futuro di chi verrà dopo di noi?
Tuttavia oltre a poter produrre interi capi atti alla macellazione OGM si è pensato di creare anche specifici mangimi OGM che vengono poi selezionati e somministrati a questi animali per produrre così carni bovine di “alta qualità”, atte poi a soddisfare i bisogni del consumatore. La regola di base è maggiore massa muscolare e quindi carne nel quarto e il minor quantitativo di scarto e ciò in termini di ricavo significa poter guadagnare di più, ma cosa dire quando il maggior guadagno ha il prezzo della salute di chi compra o ancor peggio del futuro di chi verrà dopo di noi?
Qui di seguito sono proposte delle immagini che
mostrano dove si può spingere la genetica per produrre carne , semplice carne:
Ecco come si posso presentare alcune bovine da latte.
Di gran lunga lontana dall’immaginario che siamo
abituati ad avere e che di norma presentano questi animali in normali condizioni
di allevamento.
La notizia rassicurane è che mentre da una parte
esisto situazioni così estreme e completamente errate che quotidianamente vengono
intercettante da Enti ed Associazioni competenti e prontamente combattute, così
dall’altra esistono Aziende serie e competenti in grandi di produrre secondo
regola e legge e soprattutto secondo buon senso.
Una politica congrua e attiva sull’argomento può
certamente fare la sua parte nella lotta contro la Mala produzione e permettere
che il giusto modo di fare “Carne” nella filiera agroalimentare ci sia sempre, ed
è alla luce delle ultime vicende Coldiretti –Aziende e con la chiusura in media
di 60 aziende al giorno che l’agricoltura italiana si presenta all’Expo 2015
con 155 mila imprese in meno rispetto all’inizio della crisi nel 2007 e non può
perdere l’opportunità di rilancio offerta dalla grande esposizione universale.
Afferma Coldiretti: Oggi in Italia la metà della spesa è anonima, anche se il
nuovo regolamento comunitario entrato in vigore il 13 dicembre prevede che a
partire dal prossimo 1 aprile 2015 dovranno essere indicate in etichetta luogo
di allevamento e di macellazione di carni suine e ovi-caprine.
Ad oggi, quindi, in Europa è in vigore l’obbligo di
indicare l’origine della carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza mentre dal
2003 è d'obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell'ortofrutta
fresca, dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova.
E’ senza dubbio chiaro, che solo serrando il controllo
e l’attenzione sulle produzioni, quest’ultime da non attribuire solo agli Enti,
si posso garantire sicurezza e legalità.