La MOZZARELLA DI BUFALALA di BUFALA
La mozzarella è un prodotto lattiero caseario tecnicamente identificato come formaggio a pasta filata, si può ottenere usando sia latte Vaccino che latte Bufalino, i prodotti che ne conseguono saranno tipici per la produzione effettuata.
Il latte di bufala ha una composizione diversa da quella di
altre specie animali utilizzate per la produzione di formaggio, rispetto a
quello di vacca e pecora ad esempio, è più ricco di proteine, grassi e
soprattutto calcio totale.
Queste caratteristiche chimiche permettono a chi lo
trasforma di ottenere delle rese di caseificazione pari al doppio di quelle che
in genere si ottengono con il latte di mucca. Un’altra caratteristica singolare
è l’assenza di carotenoidi nella sua composizione, ciò si trasmette nelle
caratteristiche del prodotto finito nell’assunzione del tipico ed unico colore
bianco porcellanato della Mozzarella di Bufala Campana. Il latte prodotto nelle
aziende agricole viene trasportato in tempi brevissimi negli stabilimenti di
produzione dove viene sottoposto a tutti i controlli igienico-sanitari e a
quelli ulteriori del Disciplinare prima di dare inizio alla vera e propria
lavorazione.
La coagulazione è preceduta dall’aggiunta nel latte, portato
precedentemente ad una temperatura tra i 33 e 39°C, di siero innesto naturale
(detto cizza) proveniente dalla
lavorazione medesima del giorno precedente. Tale aggiunta serve a rendere il
latte attivo e pronto per la immediata e
successiva coagulazione che viene effettuata in caldaie o polivalenti in
acciaio, mediante esclusivo utilizzo di caglio naturale di vitello.
Dopo alcuni minuti che il latte è rappreso per l’intervento
del caglio, si procede alla rottura degli stessi grumi caseosi con un attrezzo
denominato “spino” che li riduce fino ad una grandezza di poco più di una noce.
A partire da questo momento si verifica la separazione tra la fase solida e la
fase liquida del latte (sineresi). La fase liquida, allontanata mediante
prelievo, è detta “siero dolce” ed è la materia prima con cui si ricaverà la
squisita Ricotta di Bufala Campana, mentre la fase solida è detta cagliata.
Quest’ultima è lasciata acidificare sotto siero fino a quando sarà definita
“matura”o “pronta” per la filatura dal casaro, mediante il saggio di filatura
che esegue personalmente.
Questa prova empirica, ma assolutamente attendibile nelle
mani esperte di una mastro casaro, consiste nell’aggiungere acqua bollente a
circa mezzo chilogrammo di cagliata sminuzzata che, amalgamata fino a farla
fondere, viene tesa con le mani ed un bastoncino di legno: se si allunga
uniformemente senza spezzarsi, è giudicata “pronta” per la fase successiva di
filatura. La cagliata al giusto grado di maturazione viene posta su tavoli
spersoi dove avviene lo spurgo di tutto il siero residuo, successivamente viene
tagliata a listarelle e riposta in particolari contenitori, ancora oggi
prodotti in legno chiamati “mastelli”, dove viene aggiunta acqua bollente. Il
contatto tra acqua bollente e cagliata provoca la fusione della massa che viene
di continuo sollevata e tirata fino ad ottenere un unico corpo omogeneo.
Nella stragrande maggioranza dei caseifici una parte non
trascurabile della fase di formatura è effettuata dal casaro e dai suoi
collaboratori manualmente, la restante parte è effettuata con l’ausilio di
macchine operatrici dette formatrici che producono pezzature a peso
predeterminato.
La Mozzarella di Bufala Campana così prodotta viene dapprima
lasciata in vasche contenenti acqua fredda per garantire un primo importante
rassodamento, che si completa in altre vasche contenenti anche soluzione saline
che conferiscono al prodotto il giusto grado finale di sapidità. Oltre alla
forma tondeggiante che parte dai 20 grammi (perlina, ciliegina, bocconcino), il
disciplinare di produzione prevede diverse altre tipologie, quali, nodini e
trecce fino a tre chilogrammi.
DISCIPLINARE DI PRODUZIONE
http://www.mozzarelladop.it/pdf/disciplinare_mozzarella_2008.pdf
Il Destrosio
Il destrosio
è uno zucchero monosaccaride chimicamente uguale al glucosio, sono due nomi
infatti per la stessa molecola. Viene ricavato dall’amido di mais e utilizzato
in polvere, lo sciroppo di glucosio invece non è glucosio puro. Meno dolce del
saccarosio, ha un altissimo potere anticongelante e anticristallizzante e per
questo viene aggiunto nei gelati perché ne rende il composto poco elastico.
Inoltre è utilizzato per dolcificare bevande o budini e per l’imbrunimento, la
lievitazione e la conservazione dei prodotti da forno. Si scioglie
perfettamente in acqua fredda e tiepida.
È usato per:
Produzione di caramelle, in confetteria e per i ripieni nei quali favorisce la
morbidezza e l'untuosità; Nelle cotture dello zucchero perché ne evita la
cristallizzazione; Nelle preparazioni da forno perché ne accentua la reazione
di Maillard.
La Destrosio
equivalenza o Destrosio equivalente (DE) è un parametro che
misura il grado di idrolisi dei carboidrati, in particolare di polimeri
del glucosio
derivati dall'amido,
in base alla lunghezza delle catene polimeriche da cui sono
formati, in rapporto al valore di riferimento del glucosio
(il destrosio è sinonimo di D-glucosio). È una misura della quantità di zuccheri riducenti presenti in un
carboidrato, rispetto al glucosio, espresso in percentuale su base secca. In
altri termini rappresenta la percentuale di idrolisi dei legami glicosidici
presenti. A livello industriale vengono aggiunti all'amido degli enzimi che
scindono i suoi legami, dando origine a catene di glucosio molto più brevi
(maltosio, destrine) o singole unità di glucosio. Questo valore, oltre che per
l'uso in campo industriale, è inoltre utilizzato per misurare la qualità di
alcuni integratori di carboidrati come le maltodestrine in ambito
sportivo/alimentare.Durante l'idrolisi dell'amido, la DE indica la misura in
cui l'amido è stato scisso.
L'idrolisi acida dell'amido è utilizzata da tempo
per produrre degli sciroppi di glucosio, ma anche il glucosio cristallino
(destrosio monoidrato). Quantità notevoli di sciroppi a DE 42 sono prodotti
usando acido e sono utilizzati in molte applicazioni in pasticceria. Ulteriori
processi di idrolisi con acido non è soddisfacente a causa dei prodotti di
degradazione eccessivamente colorati e aromatizzati. L'idrolisi acida sembra
essere un processo del tutto casuale che non è influenzato dalla presenza di legami 1.6 α-glicosidici. Il valore
100 equivale ad una soluzione di glucosio puro, il 50 ad una di maltosio,
le maltodestrine hanno una DE compresa mediamente tra il 5 e il 20, gli
sciroppi di glucosio hanno un valore compreso tra 30 e 60, mentre l'amido ha
una DE attorno allo 0.In tempi recenti si è diffusa la credenza, supportata da
qualche testo sull'alimentazione e sito internet, che una bassa destrosio
equivalenza, e quindi una conformazione che prevede catene polimeriche di
glucosio più lunghe, equivalga ad un indice glicemico proporzionalmente
ridotto.
Tale convinzione deriva dal fatto che i carboidrati complessi, come l'amido
(polimero
del glucosio), prevedano tempi di digestione e assimilazione
relativamente più lunghi rispetto al glucosio, e quindi un indice glicemico più
basso. In base a questa constatazione, alcuni hanno dedotto, senza alcun
supporto scientifico, che la complessità di un polimero del glucosio ed il suo
peso molecolare fossero di conseguenza inversamente proporzionali al indice
glicemico. In realtà sono altri i fattori che alterano i tempi di assimilazione
di un carboidrato, ad esempio:
- esistono anche cibi ricchi di amido con un indice glicemico molto alto (~90), pur essendo l'amido per definizione a DE 0
- i tempi di assimilazione dell'amido contenuto negli alimenti sono alterati dalla composizione stessa del cibo;
- la digeribilità dell'amido è stabilita anche dal rapporto tra amilosio e amilopectina;
- la velocità di assimilazione è anche modificata dai tempi di cottura;
- l'amido puro è in genere più rapidamente assimilabile dell'amido contenuto in un alimento;
- l'amido trattato con agenti chimici per idrolisi (una sorta di pre-digestione) viene reso naturalmente più digeribile;
- i prodotti derivati dall'idrolisi dell'amido hanno generalmente un indice glicemico pari al glucosio o superiore;
- integratori composti da polimeri del glucosio (come gli oligomeri) vengono assorbiti più rapidamente del glucosio;
Da queste osservazioni si capisce che non è la complessità di un carboidrato, la lunghezza delle catene polimeriche, ed il peso molecolare, a determinarne l'indice glicemico. I polisaccaridi, in quanto tali, non hanno necessariamente un indice glicemico più basso del glucosio. In sostanza molti hanno interpretato la destrosio equivalenza come una sorta di parametro simile all'indice glicemico, ovvero con la proprietà di stimare i tempi di assimilazione di un carboidrato e la proprietà di incidere sui valori della glicemia. In realtà la destrosio equivalenza misura solo il grado di polimerizzazione e il peso molecolare di un glucide, ma ciò non si traduce di conseguenza in un indice glicemico basso, o più basso, e non stima i tempi di assimilazione.
Maggiore è la destrosio equivalenza, più corte sono le catene di glucosio, maggiore è la dolcezza, maggiore è la solubilità, e minore è la resistenza al calore. Tutto ciò non ha a che vedere con i valori dell'indice glicemico. Dopotutto, il processo di idrolisi artificiale che modifica l'amido rende tale elemento più digeribile rispetto alla sua forma originaria. I tempi di assimilazione e la conseguente risposta insulinica non sembrano essere influenzati dalla lunghezza delle catene di glucosio. Studi dimostrano che una soluzione a base di polimeri del glucosio subisce uno svuotamento gastrico più rapido e favorisce un'assimilazione più rapida rispetto ad una soluzione isocalorica di glucosio all'interno della stessa quantità di acqua, mentre sembra che il glucosio abbia un ruolo inibitorio sullo svuotamento gastrico.
L'esempio più emblematico è rappresentato dall'integratore di carboidrati chiamato Vitargo, il quale presenta un peso molecolare elevatissimo (tra 500,000 e 700,000 dalton), quindi una bassissima destrosio equivalenza, ma un indice glicemico superiore a quello del glucosio (oltre 137 in rapporto al pane bianco; o 100 in rapporto al glucosio), nonché tempi di assimilazione addirittura più rapidi per la sua bassa osmolarità. Anche le maltodestrine, carboidrato ottenuto dall'idrolisi dell'amido, mantiene un buon grado di polimerizzazione, un peso molecolare medio (tra 1,000 e 10,000 d), ma un indice glicemico superiore o simile a quello del glucosio nonostante la struttura complessa. Discorso analogo per lo sciroppo di glucosio (tra 250 e 1,000 d) o per altri derivati dall'idrolisi dell'amido. Gli integratori come Vitargo o maltodestrine, dal peso molecolare più elevato, ma anche dal indice glicemico molto elevato, presentano il vantaggio non indifferente di riuscire a passare il tratto gastrico e subire l'assorbimento intestinale più rapidamente del glucosio, se assunti a parità calorica all'interno di una stessa dose di liquido.
Questo grazie alla ridotta osmolarità che creano all'interno di una bevanda rispetto ad una quantità isocalorica di glucosio. questo punto, ulteriori equivoci sono stati diffusi dalle conclusioni che il peso molecolare di tutti i polimeri del glucosio sia inversamente proporzionale ai tempi di assimilazione a causa della bassa osmolarità e la conseguente rapidità di assorbimento intestinale. Queste caratteristiche da alcuni sono state estese anche ad altri integratori glucidici dal peso molecolare medio o elevato, che però corrispondevano ad un indice glicemico basso. Molti studi clinici hanno smentito sul nascere queste dicerie. Ad esempio l'amido di mais ceroso (amido composto dal 100% di amilopectina, la frazione dell'amido più digeribile), pur avendo un elevato peso molecolare e una composizione più digeribile dell'amilosio, risultava a basso indice glicemico.
Alcune aziende tuttavia lo hanno commercializzato come carboidrato ad alto indice glicemico attribuendogli proprietà analoghe a quelle del Vitargo, per il semplice motivo che nei primi anni tale marchio lo utilizzava come materia d'origine per la produzione del proprio prodotto (in seguito venne sostituita con altre fonti amidacee).
La COLMATRICE
ROTATIVA SOTTOVUOTO
La colmatrice rotativa è una macchina automatica
specifica per il riempimento sottovuoto di contenitori di vetro e in banda
stagnata di diverse dimensioni e forma contenenti verdura o frutta intera o
cubettata con liquidi di governo quali olio, aceto, salamoia, sciroppi, salse,
ecc..
La colmatrice è una macchina ad alto contenuto
tecnologico che garantisce una grande affidabilità e un’eccezionale durata
anche nelle condizioni di lavoro più gravose. Il basamento della colmatrice, generalmente,
costruito tutto in AISI 304, è composto da robusti elementi di lamiera
pressopiegata, da una piastra di elevato spessore, da pannelli laterali di
chiusura e da una canala perimetrale di raccolta acqua.
La parte superiore della piastra è lavorata con un’elevata
precisione, mediante macchina utensile, per consentire il corretto montaggio di
tutte le attrezzature della macchina. La colonna centrale permette la
regolazione in altezza per i vari formati dei contenitori e costituisce il
supporto per la vasca di stoccaggio e per le altre attrezzature che compongono
la macchina. Sulla vasca di stoccaggio prodotto sono montate le valvole di
colmatura che permettono una costante e regolare colmatura con il liquido di
governo mantenuto alla temperatura desiderata da una serpentina alimentata a vapore
comandata da termoregolatore posto a quadro elettrico. Le valvole di colmatura
possono essere di due tipi: con movimento di lavoro assiale e con movimento di
lavoro rotante.
La trasmissione del movimento, dalla colonna centrale
alle varie attrezzature della macchina, avviene mediante una serie di
ingranaggi cilindrici a denti elicoidali costruiti alternativamente in acciaio
al carbonio e in materiale plastico, in modo da garantire un funzionamento
regolare e silenzioso. La colonna centrale e il nastro trasportatore sono
motorizzati mediante due motoriduttori azionati dai rispettivi inverter, in
modo da poter variare in modo indipendente le loro velocità. Le parti della
colmatrice che sono a contatto con il prodotto sono costruite, a seconda delle
necessità, in AISI 304 o 316 e con materiali idonei al contatto con prodotti
alimentari.
La coclea, le stelle e le guide per il trasferimento dei
contenitori sono realizzate i P.E.H.D. a basso coefficiente d’attrito.
L'AISI 304 o Acciaio X5CrNi1810 è una lega
di acciaio inox austenitica composta da un tenore di Cromo (Cr) tra il 18% ed
il 20% e di Nichel (Ni) tra l'8% e l'11%; la sua densità è pari a 7,9 kg/dm3.
Il 304L è contraddistinto da un più basso tenore di Carbonio
(C), inferiore allo 0.035% (il 304 ammette fino a 0.080%).
La designazione data è quella di uso più generale, ed
origina dall'American Iron and Steel Institute poi recepita dall'ASTM con norma
ASTM A 240; le designazioni alternative sono:
AISI
|
UNI
|
W.Nr
|
AISI 304
|
UNI/EN
10088
|
X5 CrNi 18
10 W. Nr. 1.4301
|
AISI 304 L
|
UNI/EN
10088
|
X2 CrNi 18
9 W-Nr. 1.4307
|
Questo
acciaio è anche noto come "acciaio inox 18/10" e il principale
utilizzo di questi acciai riguarda sicuramente le pentole e i servizi di posate;
l'espressione "pentole in acciaio inox 18/10" è entrata ormai
nell'uso quotidiano.
Il
principio di funzionamento della macchina si basa sul colmare in sottovuoto
utilizzando il liquido di governo (quali olio, aceto e salamoia etc.) vasi o
scatole contenenti verdura, frutta o altri prodotti solidi interi o cubettati.
I contenitori riempiti con prodotti solidi (olive, funghi, pomodori etc.) in
arrivo dal trasportatore d'ingresso, vengono sincronizzati dalla coclea e
tramite la stella vengono posizionati sotto le valvole di colmatura.
Terminata l'operazione di colmatura, i contenitori, tramite guida di
estrazione, sono convogliati sul trasportatore d'uscita tangenziale
alla macchina ed avviati alle successive operazioni.
Una gigantesca macchina colmatrice
A carattere generale questo tipo di macchine sono
formate da un basamento con struttura portante in acciaio al carbonio con
rivestimento totale in acciaio inox AISI 304. Il Nastro trasportatore in
acciaio inox AISI 304 è composto da una catena table-top montata su guide in
materiale plastico antifrizione e guide laterali registrabili per diversi
formati, mentre il serbatoio del liquido di governo è lucidato a specchio
internamente in acciaio inox AISI 316.
Le valvole ingresso prodotto sono generalmente di tipo sanitario comandate da un controllo di livello, il gruppo vuoto con serbatoio è in acciaio inox AISI 316.
Inoltre troviamo la strumentazione e la pompa del vuoto ad anello liquido, il cambio rapido dei formati e regolazione in altezza elettrica, la motorizzazione macchina ed il nastro trasportatore d'uscita a velocità variabile mediante inverter, ed una protezione antinfortunistica. Infine, un
quadro elettrico di comando in acciaio inox.
Le valvole ingresso prodotto sono generalmente di tipo sanitario comandate da un controllo di livello, il gruppo vuoto con serbatoio è in acciaio inox AISI 316.
Inoltre troviamo la strumentazione e la pompa del vuoto ad anello liquido, il cambio rapido dei formati e regolazione in altezza elettrica, la motorizzazione macchina ed il nastro trasportatore d'uscita a velocità variabile mediante inverter, ed una protezione antinfortunistica. Infine, un
quadro elettrico di comando in acciaio inox.
Vi proponiamo una serie di dati tecnici di una
generica Macchina colmatrice rotativa:
Dati tecnici:
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I contenitori vuoti vengono trasferiti sotto alle
valvole erogatrici dal nastro di ingresso tramite la coclea a passo variabile,
sincronizzata alla stella di trasferimento.
All'inizio della zona di riempimento di contenitori si
aziona il dispositivo NO CAN NO FILL che consente la prima fase del ciclo cioè
l’aspirazione e successivamente tramite le fasi della camma, le valvole
determinano il vuoto e il riempimento del liquido e poi la chiusura. La
macchina può essere fornita anche di doppio vuoto.
Ecco elencati i maggiori prodotti
industriali ottenuti con l’uso di questa apparecchiatura:
Succhi, sciroppi,
salamoia, aceto, passata, olio, polpa, salse, purea di frutta, pomodori pelati,
tonno, carne, vegetali, legumi.
PUREA DI FRUTTA
LEGUMI IN SCATOLA O VETRO
INNOVAZIONE NELLE MACCHINE PER L’INDUSTRIA ALIMENTARE : Il packaging
Agroalimenti eDintorni
oggi approda nel mondo dell’innovazione industriale.
E’ priorità per
l’industria alimentare considerare un buon sistema packaging nella propria
filiera produttiva ed è questo l’intento di molte aziende: prendere dalla
Tecnologia dell’innovazione moderna le migliori tecnologie in questo campo per
sviluppare un processo più intelligenti e con meno sprechi.
Agroalimenti e Dintorni, il
portale di divulgazione sulla Tecnologia, qualità e sicurezza degli alimenti in
uno studio sull’Innovazione industriale si è imbattuto in una fiera Tedesca che
come nel 2014 anche nel 2017 sottolineerà l’importanza dello sviluppo della
Tecnologia in campo industriale per ridurre i problemi che esistono nelle
produzioni.
Garantire massima
efficienza, bassi costi, alta qualità è la Mission di tutte le aziende
coinvolte nella ricerca e sviluppo delle innovazioni.
E’ questa la linea che
l’Interpack 2017, la fiera leader mondiale dedicata all’industria del packaging
e a tutte le tecnologie di processo affini che darà il benvenuto a Düsseldorf,
dall’4 al 10 maggio 2017 ai suoi visitatori.
Le Nazioni Unite (ONU)
stimano che ogni anno la denutrizione sia la causa di decesso per 2,6 milioni
di bimbi sotto i cinque anni. La fame resta così uno dei principali problemi
dell’umanità. Al contempo ogni giorni sono tante le associazioni che lavorano e
combattono per una più equa distribuzione dei viveri, ma, ogni anno finiscono nei
rifiuti circa 1,3 miliardi di tonnellate di generi alimentari, come risulta
dall’attuale indagine “Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources”
pubblicata dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle
Nazioni Unite (FAO). Se si riuscisse a ridurre le perdite con una gestione più
responsabile dei beni alimentari, sarebbe possibile arginare le carestie.
L’industria ha acquisito
questo dato e ha messo a punto uno studio che ha portato all’ottenimento di
soluzioni; una di queste include il Packaging. I punti sviluppati sono:
- · Sviluppo di Packaging creative
- · Estirpare la mentalità occidentale dell’usa e getta
- · Riduzione degli sprechi
Il packaging creative
consente di comunicare attivamente con il prodotto rinchiuso nella confezione
Ne è un esempio l’impiego degli indicatori termo-temporali, che informano in
qualsiasi momento sulla freschezza del prodotto. La loro utilità risiede ad
esempio nel fatto che in questo modo si possono identificare eventuali
interruzioni della catena del freddo.
Il concetto di “Creative”
si estende anche agli imballaggi attivi che interagiscono con il contenuto
stesso. Le bottiglie in PET vengono trattate con assorbitori di ossigeno come
il ferro, in modo che le bevande sensibili all’ossigeno come la birra o i
succhi di frutta si conservino più a lungo.
Oppure le pellicole le
quali sono arricchite con conservanti come l’acido sorbico per combattere la
formazione di germi sugli alimenti.
Tuttavia controversie
sull’uso di tali sistemi esistono, infatti i critici ammoniscono che nelle
confezioni interattive gli additivi chimici compromettono la naturalezza dei
prodotti. A tal proposito dei ricercatori dell'Istituto Fraunhofer per la
tecnologia di processo e di confezionamento (Fraunhofer-Institut für Verfahrenstechnik
und Verpackung, IVV) di Freising in Germania, sono alla ricerca di un rimedio e
stanno sviluppando materiali antimicrobici sulla base di estratti vegetali,
come ad esempio il rosmarino.
Da un’indagine svolta
dalla società di consulenza Berndt + Partner, in Europa finiscono nella
spazzatura dal 20 al 25 percento dei beni alimentari benché ancora idonei al
consumo. In questi numeri sono incluse anche le confezioni chiuse gettate
perché scadute anche da pochissimo tempo, i formati giganti e i formati
famiglia. In questo caso la soluzione sarebbe quella di produrre confezioni più
piccole, adatte alle esigenze dei clienti. Ad esempio, le confezioni
monoporzione per single potrebbero contribuire a contenere lo spreco di beni
alimentari, questo è ciò che afferma Christian Traumann, amministratore
dell’affermata azienda di packaging bavarese MULTIVAC Sepp Haggenmülller.
Nel futuro c’è quindi
l’incremento dell’efficienza e dell’igiene degli impianti ed evitare gli scarti
già in fase di produzione. Le macchine di nuova generazione, grazie alle
innovative tecnologie, e all’innovazione per quanto riguarda materiali e
sistemi di gestione, saranno più semplici da usare, agevolmente accessibili e
ispezionabili, nonché ancora più facili da pulire.
Questi aspetti tendono ad
abbattere le cosiddette Barriere della produzione, le quali anche se piccole
possono essere insidiose e pericolose per la qualità finale, nello stesso tempo
un componente come le pellicole germicide e gli indicatori già citati prima,
consento di mantenere la freschezza e di allungare la conservabilità /sicurezza
dell’alimento, questo incipit avrebbe il compito di promuovere l’abbattimento
della mentalità consumistica e giocare un ruolo importante sulla riduzione
degli sprechi. Il packaging del futuro darà un mix tra qualità costi e
produzione.
Il tema centrale all’interpack 2017
sarà quello della sensibilizzazione. Da un attuale studio del Royal Melbourne
Institute of Technology in Australia, l’uso di confezioni idonee può ridurre
sensibilmente le perdite di beni alimentari. I progettisti stanno dunque
lavorando a pieno ritmo allo sviluppo di macchine imballatrici di nuova
concezione, tecnologie di processo correlate e confezioni “intelligenti”.
L’obiettivo è riuscire a promuovere il dialogo fra l’economia, la ricerca, la
politica e la società civile circa il tema delle perdite di beni alimentari. La
riduzione degli sprechi sarà anche l’argomento centrale all’ “Innovationparc
Packaging” dell’edizione interpack 2017 a Düsseldorf. Gli espositori di questa
mostra speciale utilizzeranno questa piattaforma per presentare dall’7 al 14
maggio 2017 idee su come proteggere meglio le derrate alimentari. Inoltre, in
occasione della conferenza SAVE FOOD organizzata presso il Congress Centrum
Sud, il 7 e 8 maggio esperti provenienti dalla politica, industria e società
avranno modo di discutere sul tema della perdita e spreco di beni alimentari.
Nell’immagine seguente
viene proposta una moderna macchina confezionatrice di prodotti al cioccolato.
Valutazione
Tecnico-scientifica della Tossicità
Molto spesso nella
quotidiana ci si imbatte in domande frequenti le quali hanno spesso un
riscontro informativo errato, inappropriato o insufficiente. Una di queste è
quella che vede come argomento principale la Tossicità di una alimento o di uno
o più dei suoi componenti. Per definizione si sa che la Tossicità equivale alla
capacità di un alimento o di uno o più sostanze di indurre effetti nocivi negli
organismi viventi sia di breve effetto che di lungo effetto.
Tuttavia per capire su
quali basi la scienza moderna e la medicina ci danni delle linee guida fondamentali
per indicare la Tossicità è opportuno analizzare le componenti che servono e
sono comunemente analizzate per determinare il grado di potenziale tossicità di
una sostanza.
Le variabili da
analizzare sono: La conoscenza, lo studio delle possibili vie, studio del
meccanismo di azione, la diffusione, Fasi e fattori.
Per poter indicare il
possibile e poi lo specifico grado di tossicità di una sostanza è opportuna
analizzare in dettaglio la dose letale, dove si tende a valutare la quantità
minima necessaria a scatenare la reazione nell’organismo, Le vie di
introduzione con le quali si comprende come il tossico penetra nell’organismo
ma soprattutto capire quali possono essere le specifiche vie di blocco di tale passaggio.
La frequenza
dell’introduzione la quale a livello medico è utile per capire la cronologia
delle abitudine del paziente nei confronti della sostanza tossica, il livello
di intossicazione con il quale si comprende la quantità di tossico ingerita e
di conseguenza l’azione correttiva da effettuare infine il tempo necessario
alla comparsa degli effetti. Quest’ultima in microbiologia, ad esempio, separa
la sottile linea tra intossicazione ed infezione alimentare, nella prima
infatti la comparsa dei sintomi si manifesta molto prima che nel caso di una
infezione.
Un piano completo sulla
valutazione del tossico necessita anche di uno studio del rischio
chimico-tossicologico ottenuto per lo più in base a studi su organismi viventi
diversi dall’uomo( le moderne normative tendono a ridurre questi studi sugli
animali) come la valutazione della tossicità acuta, subacuta e cronica, il
potere cancerogeno sia di breve o di screening che di lungo termine, sulla
riproduttività cercando di capire il legame tra tossico e fertilità sia nel
maschio che nella femmina non che
l’attività teratogena cioè sull’embrione e le malformazioni, infine
studio sulle correlazioni tra mutagenesi e cancerogenicità.
Questi parametri
permettono di ottenere dei dati che introdotti in un software danno delle definizioni:
DL50 sta per "Dose
Letale 50 NOAEL NOEL DGA
·
In tossicologia
il termine DL50 sta per "Dose Letale 50" ("Lethal
Dose 50") e si riferisce alla dose di una sostanza, somministrata in
una volta sola, in grado di uccidere il 50% (cioè la metà) di una popolazione
campione di cavie (generalmente ratti, ma anche altri mammiferi come cani,
quando il test riguarda la tossicità nell'uomo). Oggi questo parametro tossicologico
non è più in uso per motivi etici ed economici.
Allo stesso modo viene definito l'LD90,
in relazione al 90% di una popolazione di cavie.
·
Il NOAEL
è un acronimo derivante dall'inglese: "No Observed Adverse Effect Level" (traducibile in italiano come "dose
senza effetto avverso osservabile").
Il NOAEL è un parametro utilizzato in tossicologia e,
basato su osservazioni, esperimenti o test, esprime la dose massima di uno
xenobiotico che può essere somministrato senza che possano essere apprezzati
effetti tossici.
·
La
tossicologia industriale contribuisce a definire, in base alla migliore
evidenza scientifica disponibile, i cosiddetti limiti di esposizione
occupazionale, ovvero il valore limite della concentrazione ambientali
delle sostanze chimiche aero disperse al di sotto delle quali si ritiene che la
maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta ripetutamente giorno dopo
giorno, per una vita lavorativa, senza effetti negativi per la salute. In tal
caso si può parlare di NOEL (no observed
effect level) definita come dose priva di qualsiasi effetto biologico.
·
La
dose giornaliera accettabile (sigla DGA), dall’inglese Acceptable
Daily Intake (ADI), è un valore utilizzato in tossicologia e
rappresenta la quantità tollerabile di una sostanza che un uomo, in base al suo
peso, può assumere giornalmente e per tutta la vita senza effetti avversi
riconoscibili secondo lo stato attuale delle conoscenze.
Il grafico proposto si riferisce al fattore DL 50 applicato ad una terapia, si evince che anche in campo farmacologico l'indice terapeutico è influenzato da questo fattore per comprendere la dose accettabile da somministrare.
Per capire gli effetti
biologici delle sostanze tossiche si necessita spesso dello studio sul
meccanismo d’azione dei tossici il quale dipende da una complessa serie di
fenomeni schematizzabili in tre fasi: la fase di esposizione durate la quale il
tossico presente nell’ambiente o nell’alimento può venir a contatto con il
soggetto , la fase tossicocinetica, durante la quale c’è l’assorbimento la
distribuzione della sostanza nell’organismo la sua trasformazione metabolica e
l’eliminazione, la fase tossicodinamica che valuta l’interazione con il tessuto
bersaglio.
Il passaggio dalla fase
di esposizione a quella tossicocinetica determina la disponibilità
fisico-chimica della sostanza mentre il passaggio dalla fase tossicocinetica a
quella tossicodinamica determina la biodisponibilità della sostanza.
La fase di esposizione è
la fase più importante poiché coinvolge tutti gli individua a prescindere dalla
abitui e dalle classi sociali dipende dall’igiene e dalla sicurezza sul lavoro,
dagli aspetti nutrizionali, da quelli fisico-chimici dalla abitudini
alimentari.
Ciò che invece è legata
maggiormente agli addetti ai lavori sono le Diffusioni cioè capire il trasporto
attivo e passivo di tali sostanze tossiche una volta penetrate nell’organismo.
C’è da dire che il trasporto attivo è rarissimo mere quello passivo è ben noto
questa tende a stabilire un equilibrio tra concentrazioni da ambo le parti di
una membrana biologica e l’accumulo della sostanza tossica nella cellula è
paragonabile all’equilibrio ripartizione olio-acqua:
Ca= C2
Dove Ca è la
concentrazione tossico della fase acquosa e C1 è la concentrazione tossico
della fase lipidica
Quindi considerando i
fattori di bioaccumulazione pe Ca e C cioè K1 e K2 si conclude che il fattore
di bioaccumulazione è proporzionale al coefficiente di ripartizione.
Molecole della famiglia degli idrocaruri policiclici aromatici presenti in alcuni alimenti di cui è ormai nota la loro tossicità. C'è da dire che gli idrocarburi aromatici policiclici, oltre ai combustibili fossili, possono essere anche liberati dalla combustione di altri substrati; tra questi: rifiuti, tabacco, incenso, LEGNA, CARBONELLA e GRASSI.
L’IMBRUNIMENTO NON-ENZIMATICO DELLA REAZIONE DI MAILLARD
Le immagini avvolte possono ingannare. Oggi non parliamo di carne con patate e non trattiamo di alcuna ricetta ma tratteremo , diciamo così, della "base" della Chimica dell'alimentazione: La Reazione di Maillard.
La cucina è arte, come arte è la panificazione, la
produzione dolciaria, il saper fare una buona frittura. Ebbene, c’è una cosa
che accomuna queste quattro procedure: La reazione di Maillard. Per i non
addetti ai lavori il nome Maillard non evoca nulla anzi appare come un nome
come tanti, in realtà per il mondo alimentare è un nome conosciuto ed
importante soprattutto in certi ambiti. Per Reazione di Maillard (RM) si
intende una serie complessa di fenomeni che avviene in seguito all’interazione
di zuccheri “riducenti” (carbonile che reagisce) e proteine (gruppi NH2)
in processi ad alte temperature e in condizione di bassa attività dell’acqua
(AW).
foto: reazione tra uno zucchero e L'AA Asparagina
I composti che si formano dalla RM sono di colore bruno e per questo
motivo la RM è conosciuta come reazione di imbrunimento NON enzimatico e hanno
gli aromi caratteristici di “cotto” quali il pane appena sfornato o, se il
processo è stato più intenso di tostato come la frutta secca, il cacao o il
caffè. E’ quindi una reazione fondamentale nella tecnologia alimentare in
quanto: Conferisce agli alimenti colore ed aroma, avviene in tutti i prodotti
in funzione del tempo e della temperatura di trattamento a patto che vi siano
proteine e zuccheri riducenti. Riamane una curiosità;
Chi ha scoperto la
Maillard?
La reazione prende il nome da Louis Camille Maillard (in foto a destra), un chimico
francese che nel 1912 osservò l’imbrunimento in soluzioni di zuccheri e
amminoacidi/proteine. Per quanto Maillard avesse compreso che la reazione
poteva avere un grande interesse in molti settori della scienza chimica e
biomedica, la descrizione completa dei processi che governano l’imbrunimento
enzimatico negli alimenti furono descritti solo negli anni 50 da un chimico di
colore dell’Illinois di nome John Hodge.
Tuttavia, si può dire che la reazione di Maillard è forse la
più importante reazione chimica della cucina poiché dal pane alla torta, dalla
bistecca alle patatine fritte passando per il caffé tostato, la reazione di
Maillard è quella che attribuisce ai cibi il tipico aspetto finale, il gusto
di cibo cotto l’aroma e soprattutto la Tipicità del prodotto. Si tratta quindi
di un effetto desiderabile e l'unica cautela è non esagerare, per non rischiare
di bruciare il prodotto e non ottenere ciò che si attendeva.
Per una buona reazione di Maillard la temperatura dovrebbe
mantenersi tra i 140 e i 180 gradi Centigradi, mentre la superficie di
contatto con l'alimento dovrebbe essere in metallo.
Alcuni alimenti come le carni bianche possono essere poveri degli zuccheri necessari. In questo caso si possono aggiungere vino, limone o arancia, oppure fare una leggera glassatura col miele. Il comune zucchero da cucina invece, il saccarosio, così com'è non va bene. Perché favorisca la reazione di Maillard è necessario che sia scomposto nei suoi componenti principali, glucosio e fruttosio, ciò che si può ottenere combinandolo con vino o altre sostanze acide come il limone. Per questa ragione la marinata è un ottimo accorgimento per favorire la reazione di Maillard.
L'aggiunta di sostanze basiche come il bicarbonato da cucina, infine, costituisce un forte acceleratore delle reazioni di Maillard.
LA BUGIA DEL CARAMELLO
Non tutti i
processi di imbrunimento non-enzimatico sono, tuttavia, dati dalla reazione di
Maillard ne è un esempio la degradazione al quale va incontro il comune
zucchero domestico (saccarosio) quando è fatto fondere, eventualmente con una traccia
di succo di limone per abbassare il pH, per formare caramello: questo è un
esempio di reazione di Pirolisi terribilmente complicata ma che riguarda solo e
soltanto una tipologia di molecola di partenza, il saccarosio appunto, e per
quanto origini un prodotto multi-componente dotato di aroma, colore e
consistenza caratteristici, il caramello, non può essere annoverata fra le
reazioni di Maillard.
Si commetterebbe un errore se a questo punto si affermasse
che tutte le molecole che contribuiscono all’aroma che un alimento sviluppa
durante da cottura si originano a partire dalla combinazione di uno zucchero
riducente e di un aminoacido o di loro derivati.
In realtà una grande quantità di molecole fra le quali zuccheri semplici, acidi
grassi insaturi, nucleotidi derivanti dall’RNA, composti solforati, vitamine,
aminoacidi possono trasformarsi singolarmente o reagendo fra loro secondo una
successione di reazioni diverse da quelle dette appunto di Maillard.
Vai ai video: fine articolo o su:Video sulla produzione del caffè
Leggi: Buon Giorno! un caffè per piacere? : http://agroalimentiedintorni.blogspot.it/
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DALLA TAZZINA ALLA “BRACE”
DALLA STORIA ALLA REALTA’
La storia del caffè inizia tra mito e leggenda e la
leggenda più nota è quella che ci perviene dal Medio Oriente dove, secondo la
tradizione uno dei monaci del Monastero Chehodet, nello Yemen, avendo saputo da
un pastore di nome Kaldi che le sue capre ed i suoi cammelli si mantenevano
energici e vivaci anche di notte se mangiavano delle strane bacche, preparò con
queste una bevanda nell' intento di restare sveglio per poter pregare più a
lungo. Ma non è certamente leggenda la tecnologia di produzione ed il processo
per l’ottenimento del caffè. E’ proposta qui la filiera di produzione che
garantisce gli aspetti essenziali e i cosiddetti target aziendali del caffè su
larga scala.
Lo stabilimento di produzione è di sicuro il luogo
principe per produrre il caffè torrefatto, tuttavia non bisogna dimenticare l’importanza
della materia prima che nel nostro caso è proprio il chicco di caffè. L’azienda
dovrà infatti mantenere viva la comunicazione e i contatti con le sedi di
coltivazione per poter avere sempre lo stesso prodotto richiesto, con tutte le
sue caratteristiche; per far sì il reparto di ricerca e sviluppo in
collaborazione con quello del controllo qualità selezioneranno le aree di
coltivazione, i coltivatori e le loro tecniche usate per ottenere la crescita
della pianta secondo la loro mission. E’ proprio da una pianta che si parte, la
quale coltivata nel modo corretto ci darà dei fiori bianchi e poi dei frutti,
delle piccole bacche a grappolo di color rosso. Inizialmente un chicco di caffè
verde germina dopo alcune settimane dalla piantata; dopo due mesi compaiono le
prime foglie, mentre per i primi frutti (drupe) bisogna attendere almeno 3-5 anni.
In compenso, le piante adulte di caffè offrono ogni anno splendide fioriture,
il cui profumo ricorda il gelsomino con sentori al limone, mentre le foglie
sono ovali ed i fiori di colore bianco. All'interno dei frutti (simili a
ciliegie), troviamo due semi avvolti in una pellicola argentea e racchiusi in
una membrana coriacea, denominata "Pergamino”. I chicchi della
specie Arabica sono allungati ed ovali, mentre quelli di Robusta sono più
piccoli e con il taglio interno diritto.
LA RACCOLTA
Coltivato e portato alla giusta maturazione il chicco
di colore bruno viene raccolto con due sistemi principali ed una variante:
Picking
Con il picking le ciliege vengono raccolte una ad una, manualmente. Se consideriamo che le drupe non maturano tutte insieme, ma in un periodo piuttosto lungo e in diverse fasi, capiremo quanto sia costoso questo metodo. Sicuramente questa tecnica offre i migliori risultati qualitativi.
Con il picking le ciliege vengono raccolte una ad una, manualmente. Se consideriamo che le drupe non maturano tutte insieme, ma in un periodo piuttosto lungo e in diverse fasi, capiremo quanto sia costoso questo metodo. Sicuramente questa tecnica offre i migliori risultati qualitativi.
Stripping
Più veloce e meno costoso del precedente, nello stripping tutti i frutti vengono sgranati dal ramo in un unico raccolto, asportando quindi non solo bacche mature, ma anche bacche con diversi livelli di maturazione (quindi anche verdi e troppo mature).
Più veloce e meno costoso del precedente, nello stripping tutti i frutti vengono sgranati dal ramo in un unico raccolto, asportando quindi non solo bacche mature, ma anche bacche con diversi livelli di maturazione (quindi anche verdi e troppo mature).
Meccanico
Una variante del secondo metodo può avvenire anche per mezzo di particolari macchinari che, scuotendo gli alberi fanno cadere le bacche. Altri tipi di macchinari, muniti di pettini speciali, strappano non solo le ciliegie, ma anche le foglie.
Una variante del secondo metodo può avvenire anche per mezzo di particolari macchinari che, scuotendo gli alberi fanno cadere le bacche. Altri tipi di macchinari, muniti di pettini speciali, strappano non solo le ciliegie, ma anche le foglie.
Il CONTROLLO
QUALITA’ ALL’INGRESSO
Prima
dell’insilaggio un panel di esperti controlla la qualità del prodotto possono
assaggiare anche oltre le 10.000 tazze di caffè all’anno. Il caffè verde viene
sottoposto a severi controlli qualitativi per singola origine. Solo a questo
punto viene autorizzato l’insilaggio per qualità. Successivamente le macchine
vibrovagliatrici, attraverso varie fasi, eliminano eventuali impurità e corpi
estranei presenti. In una prima fase tendono a separare il caffè da eventuali
corpi leggeri, come ramoscelli, foglie e legnetti. In seguito viene separato
dai corpi pesanti. La fase successiva, ovvero lo stoccaggio, è effettuato in
silos della capacità totale di circa 700.000 chilogrammi.
LA PROCESSAZIONE DEI CHICCHI
La materia prima trasportata all’area di produzione viene
processata nella fase di Separazione. Qui si procede ad effettuare la separazione
dei chicchi dalla polpa e per far ciò si usano principalmente due tecniche: il
metodo a secco e in umido. Nella lavorazione a secco, i frutti vengono fatti essiccare
al Sole o in essiccatrici per diversi giorni e, in seguito, per mezzo di
macchine decorticartici si procede
all'estrazione dei chicchi.
Con il secondo metodo, più costoso, i chicchi passano
attraverso macchine sbucciatrici per separarli dalla polpa e, successivamente,
subiscono una fermentazione in serbatoi pieni d'acqua per togliere i
resti della polpa. In seguito, vengono lavati ed essiccati, al sole o tramite
macchinari specifici, e continuamente girati per evitare la formazione di
muffe; in un paio di settimane la polpa scompare. In seguito, si provvede a
separare ciò che di secco rimane attorno al chicco.
La lavorazione in umido produce chicchi di qualità più
elevata, i cosiddetti "lavati", con caratteristiche aromatiche
superiori rispetto a quella a secco, che dà invece origine ai caffè "naturali".
A questo punto, i chicchi vengono selezionati
manualmente o tramite macchinari, per eliminare chicchi difettosi e determinare
le diverse grandezze. Infine, i chicchi migliori vengono generalmente
confezionati in sacchi di iuta dal peso di 60 kg cadauno, marchiati con una
sorta di carta di identità (paese di provenienza, tipo di caffè...).
LA MISCELAZIOE E LA TOSTATURA
Fondamentale per la riuscita di un buon espresso è
certamente la fase della miscelazione.
Per un’adeguata miscelazione del caffè, vanno tenuti in considerazione svariati aspetti della materia prima: se Arabica o Robusta, se caffè naturali o lavati, se sudamericani, africani o asiatici, le percentuali degli stessi e, chiaramente, il livello qualitativo del caffè nonché il target produttivo dell’azienda, infatti ogni realtà produttiva ha un proprio obiettivo e una propria mission che racchiude tutte le caratteristiche iniziali, finali e di processo del proprio prodotto. Ogni ricetta ha il proprio segreto che ovviamente le imprese non riveleranno mai.
Per un’adeguata miscelazione del caffè, vanno tenuti in considerazione svariati aspetti della materia prima: se Arabica o Robusta, se caffè naturali o lavati, se sudamericani, africani o asiatici, le percentuali degli stessi e, chiaramente, il livello qualitativo del caffè nonché il target produttivo dell’azienda, infatti ogni realtà produttiva ha un proprio obiettivo e una propria mission che racchiude tutte le caratteristiche iniziali, finali e di processo del proprio prodotto. Ogni ricetta ha il proprio segreto che ovviamente le imprese non riveleranno mai.
All'interno della macchina
tostatrice, “l’oro moderno” viene riscaldato ad una temperatura che va
dai 200 ai 230°C. Ciò va fatto in modo uniforme per garantire un prodotto
omogeneo.
Nel processo di torrefazione, il chicco perde il proprio peso nella misura del 18 - 20%, a seconda della provenienza del caffè, e aumenta il suo volume addirittura del 60%. Avviene poi la formazione degli aromi del caffè, presenti in diverse centinaia. La consistenza del chicco varia da dura a friabile e sulla superficie cominciano ad apparire una serie di olii. La colorazione invece dipende dai gradi di temperatura raggiunti: più lo si tosta (con il rischio di bruciarlo) più assume una colorazione bruna ed il sapore tende all'amaro. Più rapidamente il chicco viene raffreddato, meglio vengono mantenuti gli aromi.
Nel processo di torrefazione, il chicco perde il proprio peso nella misura del 18 - 20%, a seconda della provenienza del caffè, e aumenta il suo volume addirittura del 60%. Avviene poi la formazione degli aromi del caffè, presenti in diverse centinaia. La consistenza del chicco varia da dura a friabile e sulla superficie cominciano ad apparire una serie di olii. La colorazione invece dipende dai gradi di temperatura raggiunti: più lo si tosta (con il rischio di bruciarlo) più assume una colorazione bruna ed il sapore tende all'amaro. Più rapidamente il chicco viene raffreddato, meglio vengono mantenuti gli aromi.
La durata dell'intero processo varia in base al tipo di tostatura (in media è di 15 minuti circa), però l'esperienza del tostatore che sa riconoscere il “momento giusto” può far concludere il ciclo anche in base alla "musica" che i chicchi producono.
La reazione di Maillard è la reazione cardine che avviene
durante la tostatura I composti che si formano dalla RM sono di colore bruno scuro
(per questo motivo la RM è conosciuta come reazione di imbrunimento NON
enzimatico) e hanno gli aromi caratteristici di “cotto”, qui nel caffè la
reazione è spinta fino a tostare il chicco ciò significa che la reazione si è protratta
fino alla totale colorazione e tostatura del prodotto. Le componenti chimiche
coinvolte nella reazione sono gli zuccheri riducenti, gli Amminoacidi basici l’ossigeno,
l’acqua e la temperatura idonea.
CAFFE' TOSTATO
CAFFE' NON TOSTATO
La tostatura è la fase più delicata del processo produttivo del caffè. Per
questo molte aziende hano messo a punto una sofisticata tecnologia che,
attraverso un rigoroso controllo dei flussi di aria calda e fredda, sono in
grado di garantire la perfetta cottura del chicco ed esaltare le sue specifiche
caratteristiche organolettiche. Ogni diversa origine di caffè verde viene
tostata singolarmente.
Esistono diversi
cicli di tostatura che si dividono in lenta, rapida e semi rapida, tuttavia dedicare
tempi molto più lunghi alla tostatura, dai 15 ai 18 minuti ha lo scopo di esaltare
le potenzialità aromatiche dei singoli caffè. I caffè torrefatti vengono dunque
raffreddati ad aria nelle apposite vasche a pale rotanti e pesati per
verificarne il calo di peso, che può variare, a seconda dell’origine del
chicco, dal 17% al 20% del peso iniziale. Il caffè tostato viene sottoposto a
un’ulteriore selezione per eliminare quei corpi estranei residuali che per
effetto del diverso peso specifico non sono stati esclusi nella fase precedente
di selezione e pulizia. Il caffè è quindi trasferito in circuito chiuso ai sili
del caffè torrefatto, dove rimane per un certo periodo a stagionare e de-gasare.
In seguito è pronto per essere miscelato o macinato.
LA
MACINATURA
La
macinatura avviene attraverso un impianto in grado di controllare gli standard
granulometrici previsti per ogni specifica linea di prodotti. Il rispetto di
tali parametri diventa essenziale al fine di garantire al consumatore finale il
miglior risultato in tazza, sia per espresso che per moka.
IL
CONFEZIONAMENTO
Le linee di confezionamento presenti negli
stabilimento di Caffè possono presentare un numero variabile, a seconda che si
tratti di caffè in grani, macinato, in cialde o in capsule. Una linea è
riservata alle confezioni da 1kg e da 500g. due linee da 250g, in formati
singoli o multi-pack. Possono inoltre essere presenti linee speciali come le
linee cialde espresso e le linee capsule espresso una linea dedicata alle
specie pregiate, che produce lattine da 3kg in grani e lattine da 250g di caffè
macinato. Inoltre, possono essere installate linee con presse per la produzione
delle capsule vuote. Gli impianti sono flessibili e completamente
automatizzati. Al fine di una ottimale conservazione del prodotto provvedono
all'insufflaggio dell'azoto, alla eliminazione dell’aria nelle confezioni e ai
relativi controlli del peso di ogni singola confezione. Le confezioni non
idonee vengono automaticamente scartate.
LE
ANALISI PER LE CERTIFICAZIONI
I controlli
qualità proseguono in ogni fase del ciclo produttivo al fine di identificare i
pericoli e i punti critici che danno la non conformità il fuori target
aziendale. Per ogni singolo lotto di produzione ci sono oltre 60 diverse
analisi che certificano costantemente lo standard dei prodotti finiti.
STOCCAGGIO
Una
volta confezionato, il prodotto è stoccato in un magazzino attrezzato in pallet
con una capacità totale variabile fino ed oltre i circa 600.000 chilogrammi, in
attesa di essere distribuito.
_______________________________________________________________________________
Concludiamo il viaggio nella produzione del caffè con due video che mostrano le fasi di cui abbiamo parlato e ne fanno un riassunto rapido e divertente sia sulla lavorazione del caffè da commercializzare in polvere o in chicchi sia del caffè in cialde e capsule.
NOTE: Marchi e video scelti puramente casuali.